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Che tutto, nella politica italiana come in quella europea, sia in via di ridefinizione è sotto gli occhi di ciascuno. In Italia, dopo la sbornia bipolarista (di cui permangono strascichi pesanti), la politica ha virato verso un ancora più precario e problematico “tripolarismo paritario” assicurazione, da oltre 4 anni, del cosiddetto “governo del Presidente”. Una sorta di -più o meno – “grande coalizione” che sta ridisegnando pressoché completamente l’offerta politica nazionale.

In questa transizione, assai bene interpretata dall’ascesa “senza sconti” e “senza scrupoli” dell’attuale Premier, l’idea di “Partito della Nazione” – già affiorata con la presidenza Letta e, in ragione del vero, mai abbandonata dall’establishment nazionale – è parsa la soluzione più auspicabile da venire -per così dire- “ufficializzata” dalla nuova legge elettorale nella sua previsione di premio di maggioranza alla lista e non più alla coalizione vincente.

L’idea che l’intesa istituzionale, voluta a suo tempo e sostenuta autorevolmente e strenuamente da Napolitano (con i Governi Monti, Letta e Renzi), dovesse trasformarsi in qualcosa di stabile e articolato ha determinato la mossa di molte pedine nello scacchiere politico tanto da accreditare (con buone possibilità di successo) un piano B rispetto all’iniziale versione hard del “Partito della Nazione” (una sorta di indigesto “Partito pigliatutto”).

Ciò in ragione sostanzialmente di due elementi: il primo riguarda l’attuale impossibilità del premier di fare a meno del voto della sinistra interna e quindi della sua impossibilità a “smacchiare” il Pd facilitando l’uscita a sinistra dei “gufi”. Il secondo elemento riguarda la prospettiva (ancora assai nebulosa) dei piccoli e piccolissimi partiti oggi al governo di coalizzarsi in una sorta di “grande” centro capace, da un lato, di aiutare il premier a riequilibrare al centro l’azione di governo e dall’altro fornire numeri credibili e sufficienti a neutralizzare gli eventuali “sgambetti” orchestrati dalla minoranza PD.

È in questo nuovo scenario (sancito anche da un innegabile indebolimento di Renzi rispetto allo scoppiettante esordio) che si giocano le sorti del “verdiniano” (e assai razionale) piano B ma anche – e non proprio paradossalmente – il futuro di Forza Italia.

Se infatti Berlusconi deciderà finalmente di guardare oltre il proprio storico ruolo e porrà testa al futuro (arginando o, meglio, emarginando i falchi: i soliti Brunetta, Santanché, Gasparri e molti degli ex colonnelli finiani ereditati dal Pdl), si potrebbe aprire anche per gli azzurri l’opzione “grande” centro.

Una soluzione “naturale” e soprattutto “realistica” che permetterebbe al Cav. di divincolarsi elegantemente e sennatamente dai “ricatti” dei lepenisti all’amatriciana e, soprattutto, di ritagliarsi ancora un ruolo da protagonista.

Del resto, senza Forza Italia, il “grande” centro rischia di rimanere una bella – quanto impossibile – chimera (in termini di consenso nel Paese e, al momento, di voti decisivi in Parlamento) oltre a dissolvere ogni credibile prospettiva per il “Partito della Nazione”.

Nonostante tutto: nonostante la radiazione dal Parlamento, il dignitoso quando duro passaggio dai servizi sociali, il fallimento del centrodestra e nonostante lo strappo del Nazareno, il Silvio nazionale può ancora dire la su al fianco del premier.

Perché Berlusconi e Renzi non potranno non fare Centro

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