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I risultati del primo turno delle elezioni amministrative 2016 sono ormai sul tavolo. Si tratta di un quadro nel suo complesso interessante, sebbene abbastanza in linea con le attese della vigilia.

Come è giusto che sia i dati percentuali sono eterogenei a seconda delle diverse città, anche perché le alleanze sono state a geometrie variabili. Il centrodestra si è presentato unito e compatto a Milano, e Parisi infatti è arrivato al ballottaggio brillantemente contro il valente Sala, mentre si è presentato frammentato a Roma, dove Meloni e Marchini sono restati fuori dalla partita finale.

La conclusione più significativa che esce dalle urne è la forza politica ed elettorale del M5S. Quello che si può dire è che il movimento grillino, giunto al ballottaggio anche nella capitale, non è più soltanto il contenitore di un voto di protesta, ma il luogo politico dove si coagula a livello nazionale la volontà di rinnovamento trasversale dei cittadini italiani.

D’altronde Milano è il perfetto contrappunto di Roma: una città efficiente e in crescita ha una competizione tra due ottimi candidati che neutralizza l’esigenza del M5S; una città cupa, disastrata e in decadenza ha visto consumarsi la peggiore performance di tutti i partiti tradizionali e l’ascesa di una figura nuova com’è la Raggi.

Purtroppo Roma è il modello politico più rappresentativo dell’Italia, mentre Milano resta un’eccezione che conferma la crisi complessiva del centrodestra e il risultato tiepido del Pd renziano.

Ma che cosa dice, in realtà, il risultato capitolino?

In primo luogo, lo si è detto, la forza innovatrice del M5S, pronto ormai ad affrontare la prova più dura, quella di amministrare una grande città, che ha bisogno evidentemente di onestà e di moralità più che di esperienza.

In secondo luogo, l’ambivalenza che caratterizza il giudizio dell’elettorato di centrosinistra su Renzi. Il premier, molto concentrato sulle riforme e sulla politica nazionale, non ha incassato un bottino esaltante alle amministrative, come sarebbe stato logico ottenere invece con un’opposizione così spappolata e poco competitiva.

In terzo luogo, Roma dice una parola netta sul centrodestra. Per la prima volta non soltanto Berlusconi ha sbagliato tutto, mancando di senso politico, punto suo di forza da sempre, ma ha scelto in modo prevedibile, chissà se volontariamente, il fallimento più probabile.

Prima Forza Italia ha puntato su un candidato non politico e non popolare come Bertolaso, poi volendo cambiare il cavallo in corsa ha optato per Marchini, senza tener conto però che l’elettorato romano ha un tasso talmente alto di malcontento da non rendere appetibile un profilo come il suo.

Infine, cosa tanto grave quanto poco berlusconiana, l’intuito di cui è notoriamente dotato non ha lanciato Berlusconi verso la Meloni, quando era il momento, che aveva le credenziali per dare un volto giovane, vincente e futuro al centrodestra italiano.

Gli elettori di area moderata hanno premiato e spostato il baricentro su Salvini, bocciando una linea stemperata e continuista come quella incarnata da Marchini e Forza Italia.

I veri vincitori in queste elezioni, dunque, non ci sono. Tutti hanno in qualche maniera perso: o non confermando un trend (Pd), o respingendo una linea politica (FI), o comunque non capitalizzando perfettamente in risultati straccianti l’ottimo consenso ricevuto (M5s).

Le conseguenze saranno tirate realmente solo dopo i ballottaggi, ma da oggi Grillo è più forte, Renzi più debole e Berlusconi sconfitto.

Forse è giunto il momento, Roma docet, che nel centrodestra si ritrovi unità, Milano docet, sulla base però di uno spostamento di leadership verso destra. Montanelli insegnava, non a caso, che davanti all’acuirsi di un malessere esiste solo un rimedio, il vaccino. E nel centrodestra il suo nome è Salvini.

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