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La chiamano narrazione, ma il suo vero nome è mistificazione. Eccone un esempio. L’ultimo. Nella polemica tra maggioranza e minoranza Pd, torna di continuo il richiamo all’Ulivo, come un periodo politico d’oro per la sinistra italiana. A dire il vero, il primo a evocarlo è stato Bersani seguito a ruota dallo stesso Renzi.

Nella realtà i governi dell’Ulivo, in senso proprio sono stati due: il Prodi 1 (1996-1998) e il Prodi 2 (2006-2008). Cos’era l’Ulivo? Era la coalizione di excomunisti (DS) ed exdemocristiani (Margherita) cui si associavano tutte le altre sigle che popolavano la galassia della sinistra nazionale. La cifra più significativa di questa formula era la rissosità, visto che ogni questione interna e internazionale provocava una serie interminabile di distinguo e di dissociazioni, sino a quella di Bertinotti, nel 1998, che determinò la caduta del governo, e a quella di Mastella che, colpito per via giudiziaria dall’iniziativa del sostituto procuratore Luigi De Magistris e non sostenuto dal primo ministro, si dimise provocando la dissoluzione della formula politica e nuove elezioni che dettero la vittoria a Berlusconi.

Il 1998, dopo il voto di sfiducia (e dimissioni) di Prodi, vide mettere in scena l’unico governo della seconda Repubblica parente dell’attuale gabinetto Renzi. Anzi l’unico reale precedente alla formula attuale.Infatti, con la regia di Francesco Cossiga, nel 1998, prima ancora della crisi, andò formandosi un nuovo partito, l’Udr (Unione democratica per la repubblica), segretario Clemente Mastella, che fu il raccoglitore di spezzoni vari di Forza Italia e di exdemocristiani col progetto sostanziale di permettere che un consistente numero di parlamentari di destra cambiasse schieramento dislocandosi nel centro-sinistra. L’operazione, non apprezzata da Prodi, ebbe la sua sublimazione con la caduta del politico reggiano.

La nuova coalizione, diretta da D’Alema (che con sforzi sovrumani era riuscito a mettere insieme quella vincitrice nel 1996), aveva una solidità parlamentare ben maggiore dell’Ulivo prodiano, visto che la fiducia al governo non dipendeva dagli umori delle piccole frazioni di sinistra, ma dall’apporto massiccio dell’Udr che presto diventerà Udeur. Con questa maggioranza e con questo governo l’Italia combatterà la sua prima guerra del dopoguerra, attaccando, con la copertura Nato, la Serbia. Insomma Mastella nel 1998, come Verdini nel 2015 con Renzi, permise a D’Alema una specie di politica dei due forni, in modo da consentire con l’apporto dei transfughi del centro-destra quelle decisione che il centro-sinistra puro e duro non avrebbe mai assunto.

Certo, la lotta sorda e sotterranea dei prodiani e della Cgil di Cofferati logorò quel gabinetto, tanto che dopo l’esito negativo delle elezioni regionali, cui era stato conferito il significato politico di conferma del consenso o di affermazione di dissenso per l’azione politica del governo, D’Alema fu costretto a dimettersi. Un confronto, quelle elezioni, la cui necessità derivava dal fatto che la coalizione di governo era nata a legislatura iniziata e non aveva avuto alcuna investitura popolare. Una conferma elettorale –più presunta che reale- il governo Renzi –accusato (a ragione) d’essere nato a tavolino, senza un confronto elettorale- l’ebbe con le elezioni europee del 2014 e l’aspetta ora dal combinato appuntamento delle elezioni comunali di giugno e del referendum di ottobre.

Il paradosso, comunque, è il comune richiamo all’Ulivo, come un periodo d’oro per l’Italia, quando, invece, si è trattato – nei due casi che abbiamo citato- di una formula fondata sulla permanente rissosità dei partner. Non che i governi di centro-destra siano stati esempio di coesione e di unità d’intenti. Ma mitizzare l’Ulivo raccontandolo come l’età politica dell’oro è una vera e propria falsità: tanto è vero che il processo riformista, al di là delle parole, non è stato mai seriamente avviato sino al marzo del 2014, dopo l’insediamento di Matteo Renzi che, con tutte le difficoltà e le deficienze di un ministero nel quale i dilettanti allo sbaraglio erano in maggioranza, ha per la prima volta messo con i piedi per terra una serie di riforme di cui il Paese aveva una urgente necessità.

Certo, come sempre, in politica vige il detto fratelli-coltelli. Tuttavia, gran parte delle ragioni delle dure polemiche di questi giorni non sono ideali ma molto concrete: la fine del potere, nelle sue varie declinazioni degli eredi del mondo excomunista, che ha perso tutte le condizioni di favore di cui ha goduto sino a qualche anno fa. Impossibile che il tempo torni indietro.

Ps: la posizione di Massimo D’Alema ha ragioni diverse. La contestazione, cioè, con argomenti nient’affatto futili, le epurazioni di Renzi, fondate sull’esigenza di occupare spazi e poteri più che di rinnovare, e l’arroganza con la quale sono state effettuate.

(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

Tutte le false contorsioni della sinistra Pd su Verdini

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