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La crescita non c’è, si può può fare però proprio in quella Regione economica che associa stati autonomi; dove, senza dazi né gabelle, si consente la libera circolazione delle merci.

Abitata da operatori di mercato: milioni di imprese producono valore, centinaia di milioni di consumatori producono il consumo di quel valore, spendendo un’unica moneta, per generare ricchezza.

Zona Euro s’appella quel sistema che ha estratto virtù economica dalle risorse produttive e da quelle improduttive messe in campo.

Una montagna di miliardi l’incasso per anno mettendo a profitto vantaggi e svantaggi.

Una Spa di operatori che agisce dentro processi globalizzati: per contenere il costo del lavoro riduce stipendi e salari, finanzia così l’aumento della produttività, rintuzza la concorrenza.

Con l’abbondante impiego delle politiche di reflazione, per sostenere la spesa, viene alterato il meccanismo di formazione dei prezzi, imprigionato il libero mercato.

Con il debito, che ha surrogato i redditi, si è sollazzata quella spesa dei privati ben oltre il bisogno e i profitti di chi così ha smerciato; ha foraggiato la spesa pubblica, ha invitato le imprese alla spesa per gli investimenti.

Tutti hanno speso. Già, quella spesa aggregata che fa il reddito, cos’altro sennò!

Cotanto fare fa la crescita, fatta a debito prima o poi si impalla.

Si impalla!

Tornano insufficienti i redditi riducendo la capacità della spesa privata che riduce la convenienza delle imprese al loro spendere. Il ridotto prelievo fiscale riduce la spesa pubblica, il consolidamento fiscale la taglia.

Tal SpendingReview degli agenti economici blocca il meccanismo dello scambio domanda/offerta.

Scatta l’allarme, arrivano gli economisti, è affar loro: vengono quelli di Chicago a dire; quelli austriaci sono lì a due passi, dicono; i keynesiani, i neo e i post- keynesiani propongono.

Le dottrine si danno battaglia: debito sì, no, nì.

I politici, già lì, si elidono, si eludono; si incontrano, si scontrano, si impegnano, si disimpegnano senza cavare il ragno dal buco. Essì, perché se il debito sale impalla la crescita, nel tentativo di ridurlo si va in recessione.

Signori, per tornare a crescere occorre fare quel che si deve senza fare debito.

Lo spazio si intravvede.

Dentro gli Stati e tra gli Stati ci sono aree dove si produce più di quanto si consuma e altre dove accade l’inverso. I primi hanno bisogno di acquirenti, i secondi di venditori.

Gli squilibri nelle bilance commerciali di quei Paesi lo mostrano, esponendo costi e ricavi.

Lo mostra quella parte di debito fatta per dare sostegno al tenore di vita necessario a smaltire le merci prodotte altrove.

Lo mostra pure l’affanno della spesa pubblica corrente che fa un bel pezzo di Pil e quella che retribuisce chi nel “pubblico” lavora per fare pur essi la spesa.

Lo mostra il deficit e il costo del debito di chi importa; il surplus e il vantaggio a indebitarsi di chi esporta.

Affanni e guadagni che lo spread misura e grida.

Già, così quando in quel mercato unico l’offerta si mostra in eccesso, svalutandone il valore, per difetto di domanda si impone la necessità di riportare in equilibrio quel commercio squilibrato, acquistando l’unica merce scarsa sul banco della spesa: la domanda.

Tocca a chi vende importare quella merce che fa smerciare il già prodotto, fa riprodurre dando continuità al ciclo, fa crescere l’economia per fare utili.

Tocca così investire i surplus, non altrimenti investiti, per remunerare il valore di quella merce e i costi di quell’esercizio, ricostituendo la capacità di spesa di tali tizi.

Et voilà, per l’area comune un nuovo equilibrio: surplus più acconci, deficit meno sconci, pure meno debito. Si raddrizzano i conti, si riavvia il meccanismo dello scambio.

Sbirciando qua e là qualcosa già si intravvede.

Mentre per l’equilibrio di bilancio i tedeschi chiedono tagli su tagli per tutti, in casa loro il basso costo del debito consente di retribuire chi deve spendere. Zitti zitti, quatti quatti assumono dipendenti nella pubblica amministrazione, aumentano i salari e le pensioni per dare focillo al potere d’acquisto; un discreto inizio.

Per l’equilibrio della bilancia commerciale d’area dovranno fare di più.

Giustappunto acquistare la domanda d’altri. Il modo per ricapitalizzare quegli associati che acquistano l’offerta loro, ripristinandone il valore. Do ut des!

Mauro Artibani, l’economaio

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