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Il velo per l’Iran, la libertà di informazione per la Russia. Nel confronto/scontro tra le liberal democrazie occidentali e i regimi autoritari emerge sempre un elemento simbolico a riassumerne il senso culturale e politico più profondo. Un elemento simbolico che coincide con un principio liberale. L’esistenza di diritti individuali incomprimibili ed universali, e dunque l’ovvia parità tra uomo e donna, è stata la lente attraverso la quale abbiamo guadato al regime teocratico di Teheran. E perciò l’abbiamo condannato in quanto liberticida.
La libertà e il pluralismo dell’informazione è, dal caso Politovskaja in poi, il valore liberale attraverso il quale giudichiamo l’autocrazia putiniana. È per questo che il caso della processo penale inflitto dal regime russo alla corrispondente della Rai da Mosca Stefania Battistini e al suo operatore Simone Traini non dovrebbe essere passato sotto silenzio. La loro colpa è, come ha acutamente osservato su Formiche.net Maurizio Caprara, aver svelato che “il re è nudo”.
Avere, cioè, realizzato un reportage al seguito delle truppe ucraine nell’area di Kursk, mostrando così al mondo, e soprattutto l’opinione pubblica russa, che quella in corso non è una “operazione speciale”, ma una vera e propria guerra di aggressione e che l’aggredito a capacità di reazione impreviste.
Stupisce, dunque, che il governo italiano abbia accettato che Mosca richiamasse il proprio ambasciatore senza fare altrettanto. Stupisce, anche se in questo caso immagino abbiano contato valutazioni relative alla loro sicurezza personale, che la Rai abbia deciso di richiamare in Italia i due “imputati”.
Stupisce che le opposizioni, da mesi ingaggiate in una polemica con il governo sull’utilizzo a loro dire asservito del servizio pubblico radiotelevisivo italiano, non abbiano fatto della questione un punto politico imprescindibile e caratterizzante. Non stupisce, invece, che il Movimento 5 Stelle, quinta colonna del putinismo in Italia, abbia inteso rovesciare la frittata.
“Ci rammarichiamo che Battistini e Traini non siano potuti restare nella regione russa di Kursk per indagare sull’uso di armi e mezzi italiani da parte delle truppe di Kyiv. Inoltre, considerato il tenore del reportage mandato in onda dal Tg1, chiaramente favorevole all’operato delle forze ucraine, presenteremo in Vigilanza Rai un’interrogazione ai vertici dell’azienda per sapere se da parte dei militari di Kyiv vi siano state limitazioni al pieno esercizio della libertà di cronaca dei reporter italiani”, ha detto Dario Carotenuto, capogruppo del partito di Giuseppe Conte in Commissione di Vigilanza Rai.
Un paradosso grottesco. In una vicenda in cui la libertà di informazione viene palesemente coartata dal regime ex sovietico, i grillini alludono a possibili condizionamenti da parte ucraina. La frontiera del ridicolo è stata, così, largamente superata, ma trattandosi degli ex addetti alla setta surrealista di Beppe Grillo non c’è da sorprendersi. A sorprendere, semmai, è l’acquiescenza con cui le istituzioni e il servizio pubblico italiani hanno affrontato la vicenda. Una vicenda quanto mai simbolica.

I paradossi del caso Battistini e il valore dell'informazione per le democrazie. Scrive Cangini

La libertà e il pluralismo dell’informazione è il valore liberale attraverso il quale giudichiamo l’autocrazia putiniana. È per questo che il caso della processo penale inflitto dal regime russo alla corrispondente della Rai da Mosca e al suo operatore non può passare sotto silenzio. Stupisce che il governo italiano abbia accettato che Mosca richiamasse il proprio ambasciatore senza fare altrettanto, non stupisce, invece, che il Movimento 5 Stelle, quinta colonna del putinismo in Italia, abbia inteso rovesciare la frittata. Il corsivo di Andrea Cangini

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