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L’Atlantic Council, think tank americano in piedi da oltre cinquant’anni, ha redatto un report approfondito analizzando nel dettaglio l’intervento russo in Siria, iniziato il 30 settembre del 2015, rimodulato al ribasso dal 14 marzo 2016, ed ancora in corso. Il Council fa luce su quello che è stato lo spunto per un’ampia narrativa russa diffusa a livello globale, l’impegno al fianco del regime di Bashar el Assad, alleato strategico delle Russia nel Medio Oriente, fatto passare come un’operazione su larga scala contro lo Stato islamico, una missione contro “il terrorismo internazionale” per stessa definizione di Vladimir Putin.

FONTI APERTE

L’intero rapporto è stato redatto sfruttando fonti aperte come risorse, ossia usando dati accessibili a chiunque, come l’immensa quantità di materiale postato in rete o sui social network, quelle che viene definito Osimint (Open Soucre Immagery Intelligence). Uno dei redattori dell’analisi è Eliott Higgins, popolare blogger che attraverso l’accurata analisi dei filmati e delle immagini postate su Youtube, Twitter, Facebook e altri social network, ha portato il suo Brown Moses ad essere uno dei più dettagliati archivi militari (e politici, dunque) su ciò che sta succedendo in Siria.

DISTRARRE, INGANNARE, DISTRUGGERE

Lo studio sostiene che l’arma più forte usata da Putin in Siria sia stata la disinformazione, usata per “Distrarre, ingannare distruggere” (è anche il titolo del report). “ll fitto numero di attacchi aerei russi ha distratto l’attenzione occidentale e russa dalle operazioni ucraine di Putin e dall’accumulo delle sue forze in Siria. I rapporti ufficiali della campagna hanno ingannato il mondo circa i veri obiettivi russi e i target colpiti durante la missione. L’operazione ha infine distrutto le capacità dell’unica alternativa non-jihadista credibile al regime di Assad, tra cui elementi direttamente sostenuti dall’Occidente”.

MOLTI RIBELLI, POCHI BAGHDADISTI

Aspetti già per certi versi noti, ma rimessi in piedi con tanto di testimonianze accessibili a tutti sugli obiettivi colpiti, e dotati di ulteriori prove. Gli obiettivi sono stati quasi esclusivamente le postazioni dei ribelli moderati, una modestissima aliquota lo Stato islamico, ma ci sono finiti in mezzo anche edifici civili, come ospedali, moschee, impianti di depurazione. Tutte vicende dimostrate , come nel caso, per esempio, del bombardamento di Khafsa Kabir, nel nord siriano. Il 2 dicembre del 2015 i russi diffusero la notizia di aver colpito i pozzi di petrolio di Khafsa (eravamo nel mezzo dell’operazione americana Tidal Wave II contro i pozzi dell’Isis), ma la visualizzazione del video postato su Youtube dallo stesso ministero della Difesa russo, ha portato i ricercatori del Council a capire che quello colpito in realtà era un impianto di trattamento delle acque, “in grado di lavorare una media di 18 milioni di litri di acqua al giorno tutti i giorni”, secondo Hanaa Singer rappresentante in Siria del programma Children Fund delle Nazioni Unite; inutile aggiungere quanto l’acqua sia importante in Siria, un paese più volte flagellato da enormi siccità. Stesso vale per le accuse di Medici Senza Frontiere sul fatto che i russi hanno colpito anche ospedali, ritenute infondate dal Cremlino ai tempi, e ora dimostrate vere pure dal report; o delle denunce di Human Rights Watch sull’uso di bombe a grappolo, nel caso fu il ministro degli Esteri Sergei Lavrov in persona a smentire prove che però erano reste inconfutabili dalle riprese video dei giornalisti embedded con l’esercito russo, che aveva visto ordigni di quel genere (proibiti dal diritto internazionale). In tutto questo, nonostante le dichiarazioni ufficiali, lo Stato islamico dall’inizio dell’operazione russa ha perso molto poco territorio se si esclude l’area di Palmyra, l’unica città importante liberata dai russi e dal regime: una città tuttora vuota, dove gli abitanti locali fuggiti per la presenza dello Stato islamico non vogliono tornare perché considerano i liberatori alla stregua degli occupanti.

IMPLICAZIONI POLITICHE

Gli analisti americani non si sono occupati soltanto di confutare le dichiarazioni false del governo russo a proposito dei bombardamenti, ma ne hanno valutato anche le implicazioni politiche con peso sulla crisi siriana: a redarre il rapporto infatti, oltre ai ricercatori Mark Czuperski, Ben Nimmo e John Herbst, c’è anche Frederic Hof, esperto conoscitore delle dinamiche politiche siriane, in quanto ambasciatore americano a Damasco per lunghi anni. Con l’uso del proxy retorico più volte impiegato della “coalizione anti-Hitler” con cui Putin ha definito l’impegno contro i terroristi (la vittoria contro il nazismo è il momento decisivo nella coscienza storica condivisa della Russia moderna), il presidente ha distratto la popolazione russa dai veri obiettivi e posizionato Mosca all’interno della Coalizione internazionale che sta combattendo il Califfato. La Russia ha portato il mondo a scegliere Assad, propagandando che l’altra alternativa era l’Isis. Ma in realtà l’intervento russo, spiega l’Atlantic Council, non ha fatto altro che “impantanare” ancora di più la situazione, aumentando la forza e il sostegno internazionale al regime siriano. “L’azione di Putin ha gravemente indebolito la più credibile (agli occhi occidentali) alternativa alla tirannia di Assad” scrivono gli analisti riferendosi ai colpi assestati dal regime alle opposizione. Ora c’è una Damasco più forte ai tavoli negoziali: una Damasco che probabilmente più che dagli Assad, in futuro sarà governata da Mosca.

 

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