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C’è un gioco che fanno tutti i bambini: aprire un oggetto, farlo a pezzi e tentare di ricostruirlo. Un po’ come operano gli scienziati: cercano di identificare tutte le componenti di un processo, e poi le mettono insieme in provetta per riprodurlo. Se funziona: bingo! Vuol dire che hanno capito i principi alla base del processo a cui erano interessati. E’ quello che mi diceva sempre Arturo Falaschi, lo scienziato che mi ha fatto da mentore per tanti anni: solo quando riusciremo a replicare correttamente una molecola di DNA in provetta con enzimi purificati, allora avremo capito realmente come funziona la replicazione.

Questo è quello che, in modo molto più ambizioso, sta facendo Craig Venter: capire quali e quanti sono i geni necessari per la vita di una cellula.

Craig Venter è diventato famoso tra il grande pubblico per aver risolto la sequenza del genoma umano e aver di fatto iniziato l’era della genomica.

Ma quando il problema è passato da Ricerca ad Innovazione, Venter ha deciso di iniziare una nuova avventura: creare una cellula con un genoma completamente sintetico. Per questo ha fondato la Synthetic Genomics, un’industria biotecnologica con base a San Diego in California.

Un progetto con due grandi ambizioni. Da un lato comprendere quali sono i geni necessari e sufficienti per la vita di una cellula. Dall’altro creare una specie di laboratorio cellulare per produrre sostanze di interesse biologico. Piccole fabbriche cellulari.

Nel 2010 il suo team ha sintetizzato in provetta l’intero cromosoma di un piccolo batterio – il  Mycoplasma mycoides. E lo ha trapiantato in una cellula di un altra specie di micoplasma – M. capricolum –  che aveva prima privata del proprio cromosoma.

In questo modo è stato ottenuto Syn 1.0.

Ormai tutte le competenze erano a disposizione. Si sapeva come sintetizzare in vitro un intero genoma e si sapeva come reintrodurlo in una cellula. E ancora più sorprendente, questa cellula riusciva ad utilizzare il genoma sintetico e riusciva a riprodursi.

Questo ha aperto la strada al passaggio successivo: eliminare ad uno ad uno i geni per identificare quelli necessari e sufficienti per ottenere una cellula vivente.

La strategia è stata quella di utilizzare tutte le conoscenze disponibili sui geni e le loro funzioni per ridurne progressivamente il numero. I genomi sintetici così prodotti venivano poi vagliati per la loro capacità di permettere la vita della cellula. Un processo che è passato attraverso diverse centinaia di tentativi fallimentari (e con costi facilmente immaginabili). Ad indicare, se mai ce ne fosse bisogno, quanto poco ancora sappiamo  della biologia della cellula.

Alla fine è stato ottenuto Syn 3.0, un organismo con un genoma ridotto all’osso. Con solo 473 geni invece dei 901 presenti in Syn 1.0 e nel genoma naturale. Geni necessari per la sopravvivenza e riproduzione della cellula. Un genoma più piccolo di quello di M. genitalium, che con i suoi 525 geni è il più piccolo genoma naturale noto. Il lavoro è stato pubblicato sull’ultimo numero della rivista Science (http://science.sciencemag.org/content/351/6280/aad6253).

Come sottolineano gli autori la cosa sorprendente è che ben 149 dei 473 geni non hanno una funzione nota. In altre parole, non sappiamo ancora quale sia la funzione di un terzo dei geni necessari per una funzione “semplice” come la vita di una cellula. Ovviamente comprenderne la funzione ci aiuterà a capire aspetti fondamentali della vita della cellula. Come a dire che c’è ancora molta ricerca di base da fare. E se ignoriamo ancora cosa è richiesto per la vita della cellula, potete immaginare quanto distanti siamo dal comprendere un organismo come l’uomo formato da più di 1000 miliardi di cellule ognuna con 25.000 geni.

Peccato che questi aspetti di ricerca di base tesi a comprendere la biologia molecolare della cellula non siano nei piani dei governi nazionali. Verrebbe da dire: meno male che ci sono privati illuminati.

Come ti fabbrico il genoma più piccolo che ci sia. Un gioco da ragazzi.

C’è un gioco che fanno tutti i bambini: aprire un oggetto, farlo a pezzi e tentare di ricostruirlo. Un po' come operano gli scienziati: cercano di identificare tutte le componenti di un processo, e poi le mettono insieme in provetta per riprodurlo. Se funziona: bingo! Vuol dire che hanno capito i principi alla base del processo a cui erano interessati.…

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