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L’ubriacatura per le primarie ricorda quella per il federalismo. Dalla metà degli anni Novanta dilagò il contagio del verbo leghista e nessuno si risparmiò nello spargere dosi cospicue di demagogia e ignoranza al punto di modificare per ben due volte il Titolo Quinto della Costituzione salvo scoprire, con colpevole ritardo, i malefici di una dottrina in sé tutt’altro che disprezzabile, ma dannosa se applicata male e per di più in un contesto, quello italiano, che di tutto aveva bisogno tranne la dissoluzione dello Stato nazionale unitario. In breve: il federalismo è stato archiviato frettolosamente anche dai suoi più strenui apologeti lasciando sul campo macerie incalcolabili.

Alle primarie si sono votati tutti, come accadde, appunto, per il federalismo. E nonostante il loro fallimento costante, nessuno sembra voler recedere dall’adottare uno strumento di partecipazione politica che può funzionare soltanto se regolamentato da una legge dello Stato. Le primarie “fatte in casa”, insomma, producono mostruosità come quelle recenti di Napoli e di Roma (ma altrove le cose non sono andate meglio nel recente passato) ed inducono i cittadini-elettori a disertarle, con buona pace dei sostenitori dell’interventismo politico. Le poche migliaia di votanti in due grandi città, la scorsa settimana, rappresentano l’eloquente bocciatura di un sistema approssimativo, abborracciato, furbesco, truffaldino, dunque sostanzialmente e formalmente antidemocratico.

Ma nonostante l’evidenza non c’è un solo esponente politico – per non parlare degli illuminati commentatori e degli improvvisati costituzionalisti che imperversano sui giornali – disposto ad andare controcorrente dicendo chiaro e tondo che le primarie, così come sono state concepite e vengono praticate, non possono funzionare. E’ come, si eccepisce, voler rimettere il dentifricio nel tubetto dopo averlo spremuto: impossibile.

La materia, comunque, si esaurirà per sfinimento. Dei protagonisti, a tutti i livelli, e di chi subisce le quotidiane ondate di nauseante dibattito sul nulla, attraverso i telegiornali soprattutto. Non se ne può più, insomma, delle diatribe romane e napoletane – solo per restare ai “casi” più evidenti – originate dalla incapacità dei simil-partiti di trovare candidati adeguati e sostenibili. Ma come pensano lorsignori che la gente, alle prese con ben altri problemi, possano appassionarsi ai trucchi escogitati per far fuori Bassolino o alle paturnie che stanno mandando al manicomio i residui del centrodestra ai quali nessuno ha detto che indire un referendum su Bertolaso (lo volete o non lo volete candidato sindaco di Roma?) è il sigillo che appongono sulla sconfitta certa?

Inutile qualsiasi richiamo alla ragione. Le primarie sono un mantra ormai inossidabile davanti al quale nessun argomento contrario tiene. E quanti più danni producono, tanto più ci si intestardisce nel decantarne la presunta magnificenza. Qualcuno crede davvero che dopo i disastri registrati, i sostenitori delle primarie siano davvero convinti del loro valore? Non ci prendiamo in giro. Il denominatore comune di tutti coloro che credono nelle sue virtù rigeneratrici è l’incapacità di assumersi la responsabilità di selezionare una classe dirigente periferica dalla quale dovrebbe venir fuori il candidato migliore o non proprio il peggiore. E del resto come potrebbero adempiere a questo compito minimo di democrazia decidente e davvero partecipativa partitini personali o oligarchici, chiusi in se stessi, ignari di ciò che si muove fuori dalle loro cadenti mura, dal momento che si nutrono di un’arrogante autoreferenzialità sostenuta dai social network e da compiaciute comparsate televisive?

Altro che primarie. Occorrerebbero le secondarie, nel senso di scuole politiche e culturali, per far rinsavire i furbetti del Palazzo che ritengono di scrollarsi di dosso il fastidio di scegliere gettando la palla ai cittadini-elettori ai quali sembra importare poco o nulla che vada fuori campo. Ma poi, contraddicendo se stessi, come s’inalberano se le cose vanno diversamente da come si attendevano.

A Napoli Bassolino è inviso agli oligarchi del Nazareno? Benissimo, gli si respinge il ricorso ricco di addebiti circostanziati e documentati in nome di ragioni che nessuno comprende. A Roma, gli oligarchi di Palazzo Grazioli, scelgono Bertolaso? Saltano su gli “alleati” che non lo vogliono e si risponde chiamando i romani a dirimere la questione non si capisce in base a quale principio: forse, in assenza di altri criteri, anche questo per il centrodestra rientra nel novero delle primarie.

Un po’ di pietà per la nostra malandata democrazia. Mandate al macero le schede sporcate e trovate tra i vostri dirigenti o nella mitica “società civile” (perfino quella incivile a questo punto va bene) qualcuno che voglia fare il sindaco o almeno il consigliere comunale e mettetelo in testa ad una lista. Ma fatela finita con questa pantomima almeno fino a quando non riuscirete a fare una legge che le regolamenti queste benedette/maledette primarie. Voi, riformatori capaci di mandare all’aria in pochi mesi un Senato ultra secolare; di cambiare a seconda delle convenienze la legge elettorale e destreggiarvi, a seconda di ciò che c’è da eleggere, tra normative talmente dissimili che farebbero venire il mal di testa a chiunque, ma non a noi italiani abituati ormai da decenni a seguire e ed assecondare le follie della politica; voi che rappresentate la nazione senza vincolo di mandato e dunque potete fare ciò che vi pare, raccogliete non il grido di dolore degli italiani, ma il loro mutismo e cancellate dal vostro povero vocabolario la parola “primarie”. Quanta indecenza verrebbe risparmiata, quanti fiumi d’inchiostro si essiccherebbero d’incanto. La Patria tutta ve ne sarebbe grata.

Perché le primarie vanno rottamate

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