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Tra eterni e sfiancanti tira e molla, il tema della sharing economy è tornato al centro del dibattito politico (e pubblico). Soprattutto dopo che lo scorso 2 marzo alcuni membri dell’Intergruppo parlamentare per l’Innovazione hanno presentato alla Camera una proposta di legge bipartisan per “disciplinare le piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi” e di “promuovere l’economia della condivisione”.

I FIRMATARI

Tra i firmatari figurano Veronica Tentori e altri sei deputati del Pd, Antonio Palmieri (Fi), Ivan Catalano e Stefano Quintarelli (Gruppo Misto), Adriana Galgano di Scelta civica. Non ci sono parlamentari del Movimento 5 Stelle.

ITER E TEMPISTICA DELLA PROPOSTA DI LEGGE

I lavori sono iniziati il 1 settembre 2014 e, durante tutto questo periodo si sono succeduti incontri con rappresentanti di cittadini, consumatori e piattaforme. Il primo deposito della bozza di proposta di legge c’è stato lo scorso 27 gennaio e la presentazione della stessa mercoledì scorso, giorno a partire dal quale è iniziata la consultazione pubblica. La proposta di legge rimarrà, infatti, “aperta” e online fino al prossimo 16 maggio per consentire agli utenti di lasciare commenti e suggerimenti che saranno poi presi in considerazione dai deputati durante la stesura della versione finale.

GLI OBIETTIVI

Gli obiettivi della proposta di legge sono favorire la razionalizzazione delle risorse e l’incremento dell’efficienza e della disponibilità di beni, i servizi e le infrastrutture, incoraggiare la partecipazione attiva dei cittadini, creare nuove opportunità di crescita, occupazione e imprenditorialità, stimolare l’innovazione tecnologica e digitale.

I CONTENUTI DELLA PROPOSTA DI LEGGE

  1. Come funzione la sharing economy e chi sono i protagonisti 

La proposta di legge numero 3.564 sulla sharing economy – che si compone di dodici articoli – definisce i soggetti che ne fanno parte e introduce una serie di strumenti capaci di garantire “la trasparenza, l’equità fiscale, la leale concorrenza e la tutela dei consumatori”. L’articolo 2 definisce l’economia della condivisione quella “generata dall’allocazione ottimizzata e condivisa delle risorse di spazio, tempo, beni e servizi tramite piattaforme digitali” i cui gestori “agiscono da abilitatori mettendo in contatto gli utenti e possono offrire servizi di valore aggiunto”. E specifica che “tra gestori e utenti non sussiste alcun rapporto di lavoro subordinato”. Chi vorrà aprire una piattaforma sharing dovrà stilare un documento di politica aziendale con le condizioni contrattuali tra la piattaforma e gli utenti.

  1. Le novità in materia fiscale

Ma le novità più rilevanti della proposta dell’Intergruppo parlamentare per l’Innovazione riguardano la fiscalità. Con l’articolo 5 la proposta di legge distingue chi svolge una microattività non professionale ad integrazione del proprio reddito da lavoro da chi invece opera a livello professionale o imprenditoriale a tutti gli effetti. E a tal proposito introduce la soglia 10 mila euro annui come discrimine. Chi starà sotto verserà al Fisco il 10% dei soldi incassati (fatta salva la no tax area).

Chi supererà la cifra verserà invece l’aliquota corrispondente al cumulo con gli altri redditi. I gestori opereranno in qualità di sostituti d’imposta degli utenti operatori. Un limite che sembra favorire piattaforme come BlaBlaCar, UberPop, EatWith o TaskRabbit, e andrebbe a svantaggio di Airbnb, il famoso portale online che mette in contatto persone in ricerca di un alloggio con persone che dispongono uno spazio extra da affittare.

Nuove norme, infine, anche per i pagamenti che dovranno essere esclusivamente digitali.

  1. Abolizione delle tariffe fisse

Di particolare interesse è anche l’articolo 4, che si sofferma su alcuni dettagli che servono a definire che cosa è sharing economy e che cosa no. Per esempio vengono esclusi i servizi per i quali il gestore stabilisce una tariffa fissa. La notizia riguarderà in maniera particolare Uber, il servizio che permette di prenotare auto a noleggio tramite app mobile e che differisce da questi criteri di identificazione.

  1. I controlli

La proposta di legge è chiara anche in fatto di controlli. L’articolo 3 individua l’Autorità garante della concorrenza e del mercato quale competente a regolare e a vigilare sull’attività delle piattaforme digitali di sharing economy, specificandone le competenze, e istituisce il Registro elettronico nazionale delle piattaforme di sharing economy. Le piattaforme dovranno, di conseguenza, ottenere l’ok proprio dall’Agcm che valuterà incongruenze ed eventuali violazioni normative.

Se approvata, la proposta di legge interesserà – secondo i dati di collaboriamo.org e Università Cattolica – le 186 piattaforme collaborative presenti in Italia nel 2015. Secondo gli stessi promotori, la formalizzazione della sharing economy potrebbe elevare il gettito fiscale da 150 milioni a 3 miliardi entro il 2025.

BlaBlaCar, UberPop, EatWith. Chi festeggia per la proposta di legge sulla Sharing economy

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