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Tutto il mondo aspetta che la Libia rientri nel mercato mondiale dell’energia.

L’economia dell’intera Libia deriva principalmente dal petrolio. Questo rappresenta oltre l’85% del suo prodotto interno lordo e praticamente la totalità delle sue esportazioni. Infatti, nel Paese si trovano le più vaste riserve petrolifere del continente africano. Si tratta di “olio leggero”, pregevole per l’elevata percentuale di frazioni a basso peso molecolare e quindi con buone rese nella produzione dei derivati più pregiati come benzina e diesel.

All’estrazione di olio si aggiunge quella del gas naturale, che costituisce la seconda maggiore ricchezza del Paese.

Questa abbondanza, unita ad una popolazione molto scarsa, aveva permesso a Mu’ammar Gheddafi di trasformare la “Repubblica Grande Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista” da uno dei Paesi più poveri del pianeta negli anni ’50 al Paese africano con il più alto reddito per abitante già nel 1977. Gheddafi raccolse i proventi della nazionalizzata industria petrolifera e li reinvestì nell’industria leggera, nell’agricoltura e nella sicurezza sociale, attirando mano d’opera dalle nazioni vicine e portando così la popolazione da poco più di un milione di abitanti ai 6 milioni e mezzo attuali. Strade, ospedali, acquedotti, industrie e intere città sono sorte accanto agli impianti di estrazione, alle raffinerie ed ai porti da cui partivano le petroliere.

Con la guerra civile del 2011, culminata nell’eliminazione fisica della “guida della rivoluzione”, il Paese è precipitato nel caos; sono fuggiti i lavoratori stranieri e le compagnie petrolifere che avevano stretto rapporti con la Libia.

A partire dalla fine del 2011, sono rientrate sul territorio l’italiana Eni, la Total francese, la Repsol spagnola, la Wintershall tedesca e l’americana Occidental per ripristinare gli impianti sopravvissuti e proteggerli con proprie forze di sicurezza. La produzione, che aveva superato 1,7 milioni di barili al giorno (Mboe/d) prima della guerra civile (su una potenzialità che può superare 2 Mboe/d) nell’estate del 2011 era scesa sotto i 0,5 Mboe/d per poi risalire a 1,4 Mboe/d prima dell’arrivo del Califfato, ora è tornata ai minimi del 2011.

L’Isis, come aveva già fatto in Siria ed in Iraq, ha approfittato dell’anarchia attraendo alcune delle numerose tribù in lotta fra di loro, offrendo loro il proprio “marchio” e consolidandosi, quindi, in diverse aree strategiche. Andando da Est ad ovest, in questo momento, le bande in franchising del Califfato hanno il controllo di oltre 200 km di costa dall’estremità orientale di Derna fino alla provincia di Al Bayyadah; di una vasta area nell’entroterra di Benghasi dal quale partono gli attacchi alla città, di quasi 300 km di costa che vanno da Al Sidr fino a 60 km a Est di Sirte – la città dove si trovano i centri nervalgici del Califfato. A queste roccaforti si aggiungono aree isolate. La principale è Sabratha – a ridosso dell’assediata raffineria e terminale petrolifero di Mellitah – e Bani Waled, nell’interno. Intanto, la Libia continua a non avere un governo e prosegue la lotta per il potere e il riconoscimento internazionale sia da parte della fazione insediata a Tripoli ed autoproclamatasi governo legittimo che da quella con maggiori riconoscimenti internazionali che controlla le regioni orientali.

La prima fazione è costituita da brigate islamiche coalizzate con i ribelli provenienti da Misurata. Questi ultimi sostengono gli sforzi unificanti delle nazioni Unite ma i primi si sono espressi contro di essa.

La fazione orientale è sostenuta da una eterogenea alleanza costituita dall’esercito nazionale libico guidato dall’ex gheddafiano generale Khalifa Haftar e altre brigate insediatesi all’esterno dei terminali petroliferi. Anche questi ranghi non sono omogenei, e alcuni gruppi rivendicano una propria autonomia di azione nel territorio sotto il loro controllo.

Entrambe queste fazioni, o meglio questi aggregati di fazioni, stringono e rompono alleanze locali con numerose altre bande costituite da gruppi di ribelli fedeli solo alla propria tribù ed al proprio comandante.

La costa non sotto il controllo delle bande del Califfato è presidiata da una di queste fazioni in cerca di riconoscimento internazionale. Ma è evidente che – in questo terribile caos – i terroristi possono muoversi liberamente nell’immensità dell’entroterra libico e, attraverso il deserto, collegarsi e attrarre rinforzi da tutta l’Area del Sahel e dalla Nigeria.

(prima parte di un’analisi più ampia, la seconda parte sarà pubblicata domani)

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