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Una delle prime vittime illustri del cheap oil è certamente l’industria estrattiva britannica del Mar del Nord, in passato una delle più floride. A segnalarlo è un report dell’associazione delle industrie petrolifere e gasiere del Regno Unito, l’Oil and Gas Uk. Quest’anno potrebbero essere esplorati non più di sette pozzi di petrolio e gas, il numero più basso da quando sono iniziate le rilevazioni, ovvero negli anni Settanta. Ma il vero punto critico è quello degli investimenti.

L’industria dell’upstream dovrebbe spendere per il 2016 all’incirca un miliardo di sterline a fronte degli 8 miliardi del 2014. Le riserve accertate stanno via via diminuendo e Deirde Michie, il presidente dei petroliferi britannici ha lanciato al governo un vero grido di allarme. “Siamo entrati in una fase di supermaturità, mentre l’industria britannica possiede anni di esperienza, il crollo dei prezzi del petrolio mette a rischio la nostra capacità di massimizzare la ripresa economica del settore offshore inglese”, sottolinea Michie.

I produttori sono, dunque, tornati a chiedere un allentamento della pressione fiscale e un maggiore impegno finanziario. Del resto, importanti realtà si sono già avvitate nella spirale della crisi. Una delle principali società attive nel Mar del Nord, la First Oil, del magnate dell’energia scozzese Ian Suttie, è da poco entrata in amministrazione controllata proprio a causa del ribasso delle quotazioni del greggio. Suttie è stato costretto a mettere in vendita alcuni gioiellini della sua holding come Zennor Petroleum, che sta sviluppando il promettente giacimento Finlaggan, nel mar d’Irlanda.

Che ormai fare business sul petrolio sia diventato un rischio sempre maggiore è confermato dalle banche d’affari come Goldman Sachs, secondo cui più di un terzo dei crediti finanziari concessi nel Oil and Gas potrebbe non essere mai recuperato, qualora dovesse persistere la congiuntura del cheap oil. Le difficoltà dell’estrazione nel Mar del Nord hanno spinto anche colossi come Shell, che hanno una lunga tradizione in termini di presenza nel Mar del Nord, a spostare il baricentro delle proprie attività su altri quadranti.

Il governo bulgaro e la compagnia olandese hanno da poco firmato un accordo per l’esplorazione di gas offshore nel Mar Nero, segno che la Bulgaria si conferma quale nuovo possibile baricentro di un attivismo nel campo del gas che vede coinvolta e interessata anche la compagnia russa Gazprom. I russi stanno portando avanti con Sofia i colloqui per riprendere i progetti per la costruzione di una nuova linea di tubi a sud dell’Europa, tema abbandonato dopo la cancellazione del South Stream.

Petrolio e gas, perché i prezzi bassi abbacchiano anche il Regno Unito

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