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Il Giubileo della Misericordia si apre sotto nubi fosche. Lo Stato islamico è all’offensiva e ha colpito il suo “nemico lontano”, l’Occidente, due volte nel giro di pochi giorni. Su questo sfondo si stagliano le nuove stime sul reclutamento nelle formazioni jihadiste attive in Siria ed Iraq. Secondo il Soufan Group, i foreign fighters sono tra 27.000 e 31.000. Di questi, 5.000 provengono dall’Europa e 87 dal nostro paese. L’incremento rispetto alla precedente rilevazione è imponente: nel giugno del 2014 i volontari della guerra santa erano 12.000, quelli originari del Vecchio Continente 2.500. Un altro dato di cui tenere conto è il tasso di rientro: tra il 20% e il 30% dei combattenti sarebbe tornato in patria, spesso inosservato.

 

Le conclusioni suggerite da tali numeri sono lampanti: la minaccia jihadista non può essere sottovalutata e richiede un rapido cambio di passo da parte di chi è nel mirino. Gli sforzi fatti nell’ultimo anno e mezzo per contenere questo nemico sfuggente quanto determinato sono infatti serviti a poco. Dopo sedici mesi di bombardamenti da parte di una coalizione che unisce oltre sessanta Paesi, le forze del califfo tengono ancora sotto controllo quasi tutto il territorio conquistato nella Siria sconvolta dalla guerra civile e nell’Iraq travolto dalla loro folgorante avanzata del 2014. Inoltre, come evidenzia il Soufan Group, l’intero dispositivo di sicurezza messo in piedi da allora non ha smorzato il ritmo con cui i musulmani di tutto il pianeta vanno a rafforzare i ranghi di uno Stato impegnato a seminare il terrore dentro e fuori il Medio Oriente.

 

Appare beffardo in questo senso il linguaggio deciso con cui il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, approvando il 15 agosto 2014 la risoluzione 2170, chiedeva “a tutti gli Stati membri di prendere misure per arrestare il flusso di foreign terrorist fighters”, esortandoli a “prevenire il movimento di terroristi” dentro i propri confini e ad assicurare “efficaci controlli delle frontiere”. L’inconsistenza di queste parole è apparsa chiaramente lo scorso 13 novembre, quando alcuni reduci dalla Siria, dopo aver attraversato il territorio dell’Unione, si sono raccordati con dei complici locali e hanno fatto centotrenta morti nel centro di Parigi. Il monito di questa strage è ben presente ai ministri degli interni europei e agli altri organismi preposti alla sicurezza, che si stanno adoperando per introdurre quelle misure che la deliberazione presa in sede ONU quindici mesi prima raccomandava con urgenza.

 

Per quanto indispensabile, la prevenzione dovrà però essere accompagnata da un’azione incisiva volta a rimuovere il problema alla radice. I dati del Soufan Group evidenziano come l’esistenza stessa dello Stato islamico rappresenti un magnete per i musulmani di tutto il mondo, pronti a fare i bagagli per imbracciare le armi o svolgere ogni altro servizio indispensabile per il funzionamento della macchina del califfato. Come ha mostrato l’attentato di San Bernardino, anche chi non si unisce alle milizie di al Baghdadi può svolgere utili servigi alla loro causa. Il terrorismo jihadista accompagnerà la nostra vita quotidiana finché dalle frange del mondo islamico, fuori e dentro l’Occidente, continueranno a uscire elementi attratti dal fanatismo di un gruppo che sa come offrire loro un’identità ed una missione.

 

 

Se 5.000 vi sembran pochi: i foreign fighters europei

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