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Cina, India e Brasile con economie non più tanto scoppiettanti.

Stati Uniti non proprio sicuri di tornare a una crescita galoppante.

Poi il petrolio low cost che di certo non fa scoppiare di salute i Paesi arabi che in alcuni casi hanno già avviato robuste spending review (per non parlare della Russia, come evidenziato su Formiche.net da Maicol Mercuriali).

E i soliti timori sui debiti pubblici, con effetti deleteri in particolare sui titoli di Stato dei Paesi cosiddetti periferici dell’Europa (quindi non solo dell’Italia, contrariamente a quanto si possa pensare). E a gettare benzina sul fuoco delle apprensioni sui bond statali ci si mettono anche Bruxelles e Berlino.

Ecco il mix di fattori che stanno producendo malinconie nei mercati.

Le crescite rallentate o asfittiche tra Paesi emergenti, Usa ed Europa, di certo non contribuiscono all’euforia di investitori e operatori. I segnali dalla Cina e dall’India non sono esaltanti.  Anche dall’America i dati non sono troppo confortanti, nonostante la mossa della Fed di alzare i tassi era un segnale netto di un ritorno a una crescita robusta. Così i dati macroeconomici stanno inducendo più di un osservatore a chiedere: per caso Janet Yellen ha anticipato un po’ il rialzo dei tassi?

Pure il petrolio è comunque sotto osservazione. A questi livelli i benefici per i consumatori sono e saranno indubbi, così come per le aziende che utilizzano il petrolio il greggio come materia prima. Ma il petrolio low cost non fa sprizzare di gioia e di soldi i fondi sovrani arabi. Chi è causa del suo mal pianga se stesso?

In effetti i prezzi attuali dell’oro nero sono frutto di una decisione politica: quella degli Stati produttori riuniti nell’Opec di non tagliare l’offerta. La volontà dell’Arabia Saudita è quella di cercare di scalfire le quote di mercato dell’Iran e di fare concorrenza con la produzione del greggio Usa con la tecnica della frantumazione. Ma questa competizione al ribasso – oltre a far giungere meno munizioni finanziarie ai Paesi produttori, compreso la Russia – sta provocando qualche scricchiolio anche in piccole aziende americane del settore, esposte peraltro col sistema bancario. Con effetti a cascata tutti da decifrare ancora.

Chi continua a dispensare incertezze, se non vere e proprie tensioni, è la Commissione europea tra disparità di interessi (fa salvare le banche tedesche con soldi pubblici ma vieta salvataggi privati per le banche italiane, ad esempio), doppi binari e ritardi sulle bad bank (bene quelle sistemiche per un certo periodo come in Spagna, poi quelle sistemiche non vanno più e si elargisce un via libera a garanzie pubbliche per bad bank ultra light dai contorni ancora incerti, come nel caso dell’Italia).

Così il giochino su chi ha più sofferenze bancarie continua a produrre ansie sui mercati. Per rassicurare gli animi, si fa per dire, arriva ora il piano allo studio della Commissione europea su input della Germania: troppi i titoli di Stato nei portafogli delle banche, bisogna porre un tetto oppure fare delle belle svalutazioni. Sarebbe questo l’indirizzo di Bruxelles tra mille opacità, come quella recente della svalutazione al 17,5% delle sofferenze delle 4 banche italiane per le quali è stato attivato il Fondo di risoluzione (chi ha stabilito e come il 17,5%?, il numerino nel frattempo ha contribuito a seminare il panico sulle altre banche). Mentre sono chiarissimi gli interessi della Germania, che dopo aver rifilato a tutt’Europa il Bail In (impostazione sacrosanta, ma se economisti, addetti ai lavori e financo governatori di banche centrali chiedono una moratoria vuol dire che la trovata non era proprio una genialata), cercando di azzoppare i titoli di Stato di Italia, Spagna e Grecia, contribuisce a costruire di fatto una Europa a 2 cerchi e a beneficio dei suoi bund. Per questo lo spread si ringalluzzisce. Ma a giocare col fuoco si rischia di scottarsi. Magari il rialzo dei tassi in Usa può indurre uno spostamento dei capitali dalla Germania all’America. E prima o poi il bubbone, zeppo di derivati e altri titoli tossici, di istituti teutonici, come Deutsche Bank e Commerzbank, potrebbe scoppiare. Oppure no, magari visti i molti vigilanti della Bce che provengono da banche tedesche saranno meno occhiuti del solito. Chissà.

 

Cosa succede (e perché) sui mercati

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