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È proprio in forma, Hillary Rodham Clinton, candidata (quasi) unica alla nomination democratica per la Casa Bianca: dopo essere stata bravissima nel dibattito televisivo del 14 ottobre e dopo essersi liberata senza colpo ferire del rivale interno più insidioso, il vicepresidente Joe Biden, che ha deciso di non sfidarla, è uscita sostanzialmente vincitrice da 11 ore di estenuante “interrogatorio” da parte della commissione parlamentare d’inchiesta sull’attacco al consolato Usa di Bengasi. L’11 settembre 2012, vi persero la vita l’ambasciatore Chris Stevens e altri tre cittadini americani.

La Clinton, all’epoca segretario di Stato, non s’è mai fatta mettere nell’angolo dalla commissione, composta da sette repubblicani e cinque democratici: se gli “inquisitori” repubblicani volevano metterla in difficoltà, più ancora che accertare le cause della morte di Stevens, non ci sono riusciti, a giudizio di quanti hanno seguito tutta la seduta.

L’ex first lady ha ostentato calma e sicurezza, che a tratti sconfinava nella sicumera, e ha rintuzzato le accuse sulla gestione della crisi. Dell’episodio, Hillary s’è assunta la responsabilità oggettiva come capo della diplomazia Usa, senza ammettere di avere commesso errori; né i repubblicani hanno dimostrato che lo abbia fatto.

Lo stesso presidente della commissione, il repubblicano Trey Gowdy, ammette che non sono venuti fuori elementi nuovi. E il democratico Elijah Cummings si prende un applauso sbottando: “Attenti ad usare i soldi dei contribuenti per distruggere una campagna elettorale, L’America non è questo”.

Nella testimonianza fiume, protrattasi nella notte statunitense, Clinton ha negato di avere trascurato le richieste dell’ambasciatore Stevens d’un rafforzamento delle misure di sicurezza e d’avere tentato di sviare l’opinione pubblica sull’origine dell’assalto al consolato di Bengasi.

La candidata democratica ha anche contrattaccato: “Abbiamo bisogno di una leadership interna che corrisponda a quella all’estero, una leadership che ponga gli interessi della sicurezza nazionale davanti a quelli politici ed ideologici”, ha detto, riferendosi alla strumentalizzazione dell’episodio, con 17 mesi e 14,3 milioni di dollari spesi per la commissione d’inchiesta. Il rapporto ufficiale ha già attribuito al dipartimento di Stato la responsabilità di avere fornito una livello di sicurezza “largamente” insufficiente a Bengasi nonostante le richieste di rafforzamento da parte di Stevens e altri.

“L’America deve svolgere un ruolo guida in un mondo pericoloso – ha detto in apertura la Clinton – e i nostri diplomatici devono continuare a rappresentarci in posti pericolosi”, anche perché, “quando l’America è assente, specie da teatri instabili, ci sono conseguenze”: “Non possiamo impedire tutti gli attacchi terroristici o ottenere la sicurezza perfetta e dobbiamo accettare un livello di rischio”.

L’ex segretario di Stato ha anche risposto sul cosiddetto “emailgate”, lo scandalo scoppiato perché utilizzò un account di posta elettronica privato invece di quello ufficiale mentre era al Dipartimento di Stato: “Non voglio che abbiate un’impressione sbagliata… La maggior parte del mio lavoro non avveniva tramite email con i miei collaboratori più stretti, con funzionari del dipartimento di Stato o del resto dell’Amministrazione”.

Come ha risposto Hillary Clinton su Bengasi e email

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