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Per decenni, gli indicatori di attrattività hanno impietosamente relegato l’Italia nel fanalino di coda delle classifiche mondiali senza alcuna reazione e interesse da parte della classe politica.

Il governo Renzi ha fin dall’inizio dedicato energie e attenzioni agli investitori esteri ottenendo, attraverso alcune riforme, di salire nella classifica dell’attrattività e ottenendo significativi risultati di nuovi investimenti. Più da parte di operatori già presenti sul territorio nazionale che nuovi, ovvero da parte di soggetti che hanno già compiuto il processo di metabolizzazione del non facile processo di comprensione dell’insieme di regole e procedure italiane. Gli investitori esteri non cercano sussidi ma la valorizzazione del nostro asset più pregiato: il capitale umano. E insieme a questo, vogliono avere quello che desidera ogni imprenditore: regole certe, procedure snelle e veloci, giustizia efficace, infrastrutture fisiche e immateriali competitive.

Oggi possiamo dire che alcune riforme stiano dando i segnali tanto attesi e contribuiscano a dare un’immagine del nostro Paese come maggiormente appetibile: la strada è ancora lunga ma è bello poter dire che se non altro abbiamo cominciato a percorrerla.

Spesso vogliamo essere leader nell’autoflagellazione, credo sia importante sottolineare che se talvolta iniziative estere siano fallite o siano in sofferenza, questo non sia colpa nostra, o solo nostra, ma della incapacità degli “altri” di voler capire il nostro Paese. Sì, siamo complicati e costosi, ma si può realizzare impresa sui nostri territori senza tentazioni corruttive con tanta voglia di capire e di rapportarsi con le istituzioni e le realtà che si trovano sui territori. Se limito il campione agli investimenti esteri nel settore energetico (infrastrutture ed estrazione) noto un tasso di criticità assai elevato, in particolare su quelle promosse da operatori a matrice anglosassone, abilissimi tuttavia a scaricare la responsabilità sull’Italia.

Se guardiamo al periodo recente e ai casi della British Gas (rigassificatore di Brindisi), Medoil (estrazione di petrolio nel Mar Adriatico) e di Tap gasdotto dall’Azerbaijan (con approdo in Puglia), qualche analogia pare rinvenibile quanto a: assenza di italiani nel top management, difficoltà a capire il contesto normativo e di mercato, rapporto con il territorio tardivo, non adeguato. I primi due elementi sono assai correlati e non sono solo un tema attribuibile alla lingua ma forse ad una lettura, direi superba, della diversità (superiorità?) culturale che porta a non avere neanche la curiosità di capire il nostro sistema. Di converso, quando all’inizio degli anni 2000, la francese Edf divenne la maggiore azionista della Edison, il top management transalpino organizzò diversi incontri con opinion leader italiani per capire e cogliere le specificità del nostro sistema e poi, d’intesa con gli azionisti italiani, lasciò la guida dell’azienda fermamente in mano italiana.

Quindi, andiamo meglio, contiamo di andare ancora meglio ma capiamo anche che, a volte, gli altri pensano di investire in Italia, pensando di essere nel Mare del Nord invece che nel Mediterraneo.

British Gas, Medoil e Tap. L'Italia e la conquista di investitori stranieri

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