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Il meccanismo ormai si è messo in moto. L’Europa e l’Occidente si preparano a fare tesoro degli asset messi sotto sequestro alla Russia, all’indomani dell’invasione dell’Ucraina. A poche ore dal via libera del Consiglio europeo allo sblocco di 50 miliardi per sostenere lo sforzo bellico ucraino, anche sul fronte dei 2-300 miliardi di beni congelati alla Banca centrale russa qualcosa si muove. Come raccontato da Formiche.net, nei giorni scorsi le diplomazie europee si sono accordate sulla monetizzazione dei profitti legati agli asset messi sotto chiave, affinché i proventi sia destinati alla ricostruzione dell’Ucraina.

Un’accelerazione in questo senso la si è avuta anche in seno allo stesso Consiglio europeo, come dimostra la dichiarazione rilasciata al termine del vertice dai leader dell’Ue, i quali hanno affermato come “potrebbero essere generate entrate potenziali con l’utilizzo di entrate straordinarie detenute da entità private derivanti direttamente dalle attività immobilizzate della Banca centrale russa”. Basti pensare che Euroclear, grossa società finanziaria con sede in Belgio, ha fatto sapere di aver guadagnato 5,2 miliardi di euro (5,6 miliardi di dollari) di interessi sui redditi generati dai beni russi sanzionati da quando sono stati congelati dai paesi dell’Ue.

Proprio di questi aspetti Formiche.net ha parlato con Michele Boldrin, economista, editorialista e docente presso la Washington University in St Louis, raggiunto negli Stati Uniti. “La questione non è certo economica, bensì politica: il valore di cui si parla non è alto quando lo si confronta alle distruzioni causate dall’invasione russa. Ma costruire un trust fund che gestisca ragionevolmente quei fondi è perfettamente fattibile in modo trasparente”, premette Boldrin.

“Si vuole mandare un segnale inequivocabile al regime russo e ai suoi supporter occidentali, che sono parecchi. Quindi io credo che la ricchezza sotto sequestro possa e debba essere usata per creare un trust fund che generi reddito da trasferire al sostegno militare dell’Ucraina. E credo che, quando si riuscirà a far terminare questa follia russa, quei fondi possano e debbano essere usati come parzialissima riparazione dei danni causati dalla Russia. Questa è una scelta politica che riconosce ufficialmente un fatto: lo stato russo è in guerra contro l’Unione europea. Da più di un decennio, a dire il vero, quindi arriviamo decisamente tardi, ma meglio tardi che mai”, spiega l’economista.

“Aggiungo che, proprio perché questa realtà va riconosciuta e affrontata, sempre sul piano economico occorre procedere speditamente per mettere fine al fenomeno crescente delle triangolazioni che permettono al regime russo di ricevere ancora tecnologia occidentale. Le imprese coinvolte non sono moltissime, forse un centinaio o due, oltre a qualche banca. Ma l’evidenza disponibile è oramai sostanziale e non lascia dubbi in proposito”. Boldrin arriva a una conclusione.

“Anche qui si tratta di una questione politica: riconoscere lo stato di guerra creato dalla Russia e prevedere le misure di difesa adeguata. Molesteremo qualche potentato economico locale che, qui e lì per l’Europa, si diverte a sponsorizzare artisti russi sostenitori e propagandisti del regime? Prevedibilmente sì. Bisognerà farsene una ragione e andare avanti: a la guerre comme a la guerre“.

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