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Che per una parte del vecchio sindacato e della sinistra più ideologica il mondo debba girare ancora alla rovescia, lo conferma un’ipotesi surreale: il ventilato sciopero generale contro l’idea che anche lo sciopero, come ogni atto della politica sociale, vada ragionevolmente regolamentato. Eppure, accade anche questo nel Paese col più vasto patrimonio storico-artistico dell’umanità che finalmente, dopo quarantun anni dall’istituzione del ministero dei Beni culturali nel 1974 (primo titolare ne fu il repubblicano e uomo colto Giovanni Spadolini), s’accorge che ha un dovere di fronte all’universo, oltre che alle generazioni degli italiani che sono stati e che verranno: dare futuro alla memoria.

Fare di Pompei, del Colosseo, della Torre di Pisa, dell’Arena di Verona e di tutta la straordinaria bellezza di cui siamo circondati un tesoro così speciale, da associarlo a un bene pubblico di cui mai si potrà fare a meno, proprio come la scuola, il trasporto, l’ospedale. Sì, i custodi dell’arte alla stregua di professori, di autisti, di chirurghi, cioè di persone “essenziali” per la nostra formazione, per il nostro lavoro, per la nostra stessa vita.

Se si comprende questo – ma il governo col decreto-legge approvato e gran parte del Paese con l’indignazione non ancora passata l’hanno compreso -, non potrà mai esserci difficoltà a indire un’assemblea o a fare uno sciopero. Perché il problema da risolvere sarà sul come agire senza che l’azione arrechi danno a chi utilizza il servizio e al buon nome dell’Italia, depositaria di tanta ricchezza anche per conto di chi viene da lontano, di chi paga, di chi vi si innamora pur di vederla almeno una volta nella vita.

Si tratta di conciliare l’insopprimibile diritto a “dire di no” dei lavoratori con l’irrinunciabile dovere di aprire ogni Colosseo d’Italia per amore di se stessi e degli altri, per l’indotto economico che produce, perché in tutto il resto dell’universo così si fa. Stupisce, perciò, lo stupore di chi arzigogola sulle “norme sempre rispettate”, sulle “comunicazioni date in tempo”, sull’”unico modo per farsi sentire” e quant’altro è stato detto in queste ore per giustificare l’ingiustificabile, cioè che i visitatori del mondo debbano rispondere – loro – per i nostri conflitti casalinghi.

Nessuno contesta la legittimità di chi fa assemblea per salvaguardare i propri diritti. Ma tale azione dev’essere rivolta al datore di lavoro, al dirigente del servizio, non deve colpire gli innocenti che fanno la fila. Non può punire persone del tutto estranee alla contesa. Nel Paese di Machiavelli non mancano certo la fantasia giuridica e la responsabilità politica per tutelare sempre il diritto di sciopero e anche il valore dell’Italia nel mondo.

Federico Guiglia

(Articolo pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)

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