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Tim Cook, l’ad di Apple, una società che fattura quasi quanto tutta l’Italia messa assieme, ha ritenuto di dover rilasciare un’intervista a Repubblica in cui, oltre a confermare l’investimento di Apple nella città di Napoli, finalizzato alla creazione di un centro di formazione per sviluppatori di app, ha mandato dei messaggi politici all’Europa. Europa che dovrebbe, a suo dire, somigliare di più all’Italia e, nella fattispecie, al suo premier Renzi, il vero e unico interlocutore politico del vecchio continente che ha a cuore il cambiamento.

A questo punto qui bisogna tappare le orecchie dei propri figli, farli orbi di cotanta propaganda. Il fatto è senza precedenti. Manco Goebbels, cari miei. Dal Pol Pot, al plot plot. Riccardo Luna, sul plot di cui Filippo Sensi ha elaborato il template, ricostruisce la passata. Il dado – quello che insaporì la ricetta tutta mele morsicate e innovazione – fu Cracco a Novembre a Milano. Renzi e Cook, davanti a un risotto alla milanese – cucinato alla Masterchef –, pare si siano trovati subito d’accordo. Vai a sapere come. Ogni Colombo ha un Tolomeo. Vuoi vedere che fu proprio l’inglese da lupo marsicano del nostrissimo a fare da glutammato di sodio al discorso? Cook, chissà che ha capito, fatto sta che il centro di formazione Apple a Napoli è praticamente cosa fatta.

A dirla tutta, dato che questo Cook proprio un pirla non deve essere, uno che in garage non ci entra manco per prendere la sua di auto – ché gliela tira fuori l’autista -, mi sa che dietro c’è qualcos’altro. Forse che ad Apple per avviare questo centro di formazione gli si sconterà un sacco di piccioli, quelli delle tasse che Boccia voleva far pagare alle società spacchiose e innovative che non mollano un centesimo di tasse nei paesi in via di sviluppo come il nostro dove il più minchione, che non sa manco scrivere bene un indirizzo di posta elettronica, ha comunque 3 i-pad?

Adriano Olivetti starà rivoltandosi nella tomba. Lui che andava a fare scouting di start-up, giusto in Silicon Valley, negli anni 50 quando Steve Jobs puzzava di latte e parlava l’inglese come Renzi. Lui che, a Pozzuoli, non aprì di fatto un centro di formazione a spese dei contribuenti ma costruì – facendolo progettare ai migliori architetti – il più bello degli stabilimenti Olivetti in Italia, creando una valanga di posti di lavoro alle pendici del Vesuvio.
Lui che non aveva bisogno, come Marchionne, di andare da Fabio Fazio per affermare che a Pomigliano c’è Landini che gli crea problemi. Che, sennò a quest’ora, chissà quante macchine belle lui e la Fiat avrebbero fatto. Lui che non ha avuto bisogno – per sua fortuna – dell’appoggio di politici. Del De Mita di turno, per dire, uno che poi ti obbligava a mettere in fabbrica “i suoi” come capitò al povero Giuseppe Luraghi con Alfa a Grottaminarda. Ricordate?

Questa cosa di Renzi e Cook evoca la passeggiata di Berlusconi con Obama a L’Aquila. Chi si aspetta un lavoro rimarrà con un paio di app in mano, così come chi aspettava la casa si è trovato in delle yurte. Altro che Berlusconi, Renzi è una specie d’incrocio tra De Mita e Carlo De Benedetti. Come Dorian con il suo ritratto, mentre al Renzi che vediamo cresce solo la panza, il dipinto assume le sembianze di questi bizzarri epigoni.

Su una cosa, però, Renzi non c’entra. Quando Cook, che ha incontrato pure Papa Francesco, rispondendo a Luna dice di aver promesso al Pontefice che Apple diventerà la prima azienda completamente rinnovabile. Ecco, lì altro che informatica, altro che tecnologia. Altro che energia&ambiente. Siamo di fronte a una balla spaziale.

Tim Cook e le balle spaziali

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