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Incentivi agli accorpamenti tra imprese, fonti alternative di capitale rispetto a quelle bancarie, legislazione favorevole all’inserimento del management nelle imprese familiari, aiuti fiscali, nuove strutture in grado di garantire alle imprese la ricerca e l’innovazione. Una “buona politica industriale”, sia in Italia che in Europa, non può prescindere da questi elementi. Ne è convinto Romano Prodi, che l’ha illustrata ieri sera nella sua Bologna.

IL PROF GIOCA IN CASA

Teatro dell’evento, il Palazzo di Unicredit a pochi metri dalle Due Torri. In linea d’aria, l’ex premier abita ad appena un chilometro da lì. Inutile dire che giochi in casa, soprattutto perché a organizzare il dibattito è Nomisma, la società di studi economici da lui fondata. L’occasione è la presentazione del volume “The New European Industrial Policy” (ed. Routledge) di un suo fedelissimo come Franco Mosconi, docente di Economia applicata all’Università di Parma e già consigliere del professore sia ai tempi della prima presidenza del Consiglio dei ministri che della presidenza della Commissione Ue. A interloquire con loro, il vicepresidente di Assolombarda Antonio Calabrò, mentre a fare gli onori di casa ci pensa Andrea Goldstein, managing director di Nomisma.

MOSCONI VUOLE PIU’ EUROPA

Dal punto di vista dell’opinione pubblica, il momento non è certo dei migliori per chiedere ancora più Europa. Nonostante pulsioni nazionaliste come quelle sul Trattato di Schengen messo in discussione sotto i colpi delle ondate migratorie, Mosconi nell’introdurre la sua opera spiega invece che servirebbe “una lungimirante politica industriale europea per aiutare il cambiamento del manifatturiero”, focalizzata su “gli investimenti sulla conoscenza”. L’Italia, “che è stata un po’ troppo timida e incerta su questo fronte”, secondo Mosconi deve imparare da Stati Uniti e Germania, guardando ai loro programmi governativi a lunga gittata partoriti attorno al 2010. “Ma anche a Bruxelles qualcosa va cambiato – avverte -, perché le nuove politiche industriali concentrate sugli investimenti nella conoscenza devono salire di rango, devono diventare politiche autenticamente comunitarie al pari di quella anti-trust e di quella commerciale”.

LA RIVOLUZIONE CHE MANCA ALL’ITALIA

C’è poi una rivoluzione economica che, secondo Prodi, non ha riguardato l’Europa. Tantomeno l’Italia. E’ quella iniziata più di dieci anni fa nella Silicon Valley con la nascita di nuovi prodotti tecnologici capaci di rivoluzionare l’industria, ma le cui invenzioni difficilmente sono uscite dai confini californiani. “Lo sfondamento di queste innovazioni è stato impressionante, ma l’Europa ne è rimasta abbastanza fuori” ragiona l’ex premier convinto che “in Italia abbiamo sì una rete diffusa di piccole e medie imprese, ma occorre fare attenzione perché pezzo dopo pezzo perdiamo la produzione di prodotti nuovi. Negli ultimi venticinque anni – incalza – non c’è stata una grande innovazione capace di rivoluzionare il mercato e avere un grande impatto popolare, che sia stata realizzata in Italia. E lo stesso si può quasi dire per l’Europa. Dove si crea ciò che cambia faccia al mondo, noi siamo assenti”.

SUGGERIMENTI DI POLITICA INDUSTRIALE

La vulgata del “piccolo è bello” ancora in voga nel tessuto produttivo italiano non conquista Prodi. Che anzi preferisce esortare le imprese ad accorparsi e avverte: “Anche la piccola azienda deve essere abbastanza grande nella sua nicchia da potere, da sola o in gruppo con altre, arrivare nei mercati di tutto il mondo”. Altrimenti? “Altrimenti è destinata a saltare perché dalla globalizzazione non si scappa”. Per un rilancio della politica industriale italiana servono quindi “incentivi agli accorpamenti, una nuova legislazione sulla trasmissione delle imprese familiari perché le crisi dettate da questo problema sono una tragedia nazionale, quindi aiuti fiscali e facilitazioni all’inserimento di elementi manageriali”. Senza dimenticare che “il finanziamento delle imprese è troppo sbilanciato sulle spalle delle banche, che ne coprono l’85% mentre in altri Paesi arrivano al 40-50%”. Occorre quindi “trovare fonti alternative, l’industria deve poter diversificare il suo approvvigionamento finanziario”.

LA VIA DELL’INNOVAZIONE

Infine Prodi torna a ribadire la necessità di creare “strutture di ricerca al servizio dell’innovazione delle imprese”, una rete di istituti specializzati che si occupano dei campi più diversi, dall’elettronica al trattamento dei materiali fino ai processi dell’automazione, alla biotecnologia e al risparmio energetico nell’edilizia. E questo sulla falsariga della Fraunhofer Gesellschaft tedesca, una sorta di Cnr della ricerca applicata di proprietà pubblica ma finanziato da privati. “In Italia le nostre aziende non hanno questa sorta di angeli, e le banche non possono certo sostituirsi, non è il loro mestiere – aggiunge l’ex premier -. Proporrei di avviarne circa sei o sette tra l’Emilia, il Veneto e la Lombardia, ispirandosi alle Fraunhofer. Se non ci muoviamo in questa direzione, tra 10 o 20 anni le nostre imprese dovranno andare in Germania a fare certi tipi di innovazione”.

La ricetta tedesca di Prodi per l'innovazione delle imprese italiane

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