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Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com

Delle molte sorprese che sempre nasconde ogni legge di Stabilità, come viene oggi chiamata la tradizionale manovra economica del governo, quella delle 22 mila sale giochi – ora scese a 15 mila – previste da un bando inserito fra i commi del testo è la più “azzardata”, letteralmente. Puntare, infatti, sul gioco d’azzardo come leva per contribuire all’auspicata crescita che ci faccia uscire a riveder le stelle dopo una crisi lunga per tutti, e per molti pure drammatica, significa a un tempo andare sul sicuro e rischiare.

Andare sul sicuro, perché non occorre ricordare il giro d’affari che proviene da questo settore, paradossalmente tanto più frequentato dagli italiani quanto maggiori per loro sono le difficoltà del presente: quasi 85 miliardi di euro sono stati spesi solo nel 2014, e scusate se è poco. Ma il rischio discende proprio dall’idea di affidarsi alla dea Fortuna per risollevarsi. Dal contesto di illegalità che troppo spesso ruota attorno a questo pianeta del divertimento, ma anche della disperazione.

Dalla sensazione che basti un colpo di bacchetta magica, per risolvere i problemi accumulati nella vita. Come se l’occasionale buona sorte, che purtroppo per tanta gente si trasforma nell’ossessivo e debitorio tentativo di conquistarla, potesse sostituire il sacrificio del lavoro e perfino l’impegno a cercarlo quando non c’è o non c’è più. Non è un caso che istituzioni, associazioni e personalità in prima fila come don Luigi Ciotti si battano da tempo contro il miraggio del gioco facile, che non è mai sinonimo di guadagno facile. Ed è quantomeno curioso che lo Stato, lungi dal tenersi perlomeno fuori dalla contesa se sia giusto o sbagliato solleticare la fortuna con tanti punti-giochi sparsi lungo la Penisola, ne diventi in qualche modo il metaforico biscazziere.

Perché qui in ballo non ci sono soltanto numeri e conti, che ogni governo ha il dovere di risanare a beneficio dei cittadini di oggi e dei loro figli di domani. Qui c’è anche l’indicazione che la strada della scommessa è percorribile come quella del lavoro, che l’avventura è paragonabile all’intraprendenza, che in fondo si sta solo giocando: mentre per molti così non è, perché spesso si crea uno stato di dipendenza. Nessuno auspica lo Stato etico: non spetta ai governanti insegnarci come vivere. Però gli esempi che vengano dall’alto, le “buone leggi”, la scelta fra un modo per rilanciare l’economia o un altro sono l’unico “azzardo” che si esige dalla classe dirigente.

Chi giochicchia con la Legge di Stabilità

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