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La narrazione di Nunziante, attraverso il più medio ed arcitaliano degli italiani Checco Zalone, piace a tutti, batte Star Wars, insuffla ossigeno dentro ai polmoni asmatici delle sale cinematografiche e però fotografa un’Italia che non c’è più. Già, perché oltre a non essere più sacro, il posto fisso non solo non esiste più, ma non è più l’obiettivo dei giovani. Altro che ridere, ci sarebbe da piangere. Oggi, un giovane laureato non cerca e non spera nel posto fisso, preferisce puntare su di un lavoro autonomo. A mettersi in proprio. Sembra impossibile, ma ai giovani il “posto”, mito dei loro genitori e dei loro nonni, fa l’effetto di una gabbia, di un contesto che lo limita in opportunità e realizzazione.

La retorica delle start-up, parte integrante anche dello storytelling renziano, può dirsi, dunque, compiuta. I giovani si laureano e smaniano di inventarsi il futuro. Sono agguerriti, forse non sono disperati/temerari come i loro antenati, costretti a emigrare negli States come un Paterno o un Andolini, ma hanno la fortuna che premia gli audaci e, con in mano la green card che hanno vinto alla lotteria, sognano la California. Ma non per correre dietro al mito di Bo Derek. Le loro mamme, rimaste startuppate senza startupper, rispondono per loro: – Le femmine non sono importanti -. Ci vanno a Palo Alto e ci provano. A inventare qualche diavoleria dentro a qualche garage da cui possibilmente manco si possono vedere palme e surfisti.

Anche se hanno mezzi e relazioni importanti, i giovani laureati, che conoscono almeno una lingua (inglese) e hanno fatto almeno una breve esperienza all’estero (Londra) foss’anche per fare le fotocopie che però in inglese (copies) suona meno dequalificante, hanno voglia di farcela con le loro forze. Da soli, senza spintarelle. Vogliono che la loro iniziativa – che non li deve fare ricchi – sia essa stessa un esempio per gli altri. Deve mostrare che le cose possono farsi diversamente. In modo “sostenibile”. Meno raccomandazioni e più utopia, dunque. Altro che Checco, quindi. Questi sono tutti Garrone.

Qualche difetto per fortuna lo hanno pure loro. Sono antigufisti, amano incondizionatamente Papa Bergoglio – gli sta bene che non è più necessario che muoia un Papa per farne un altro – . Preferiscono le storie di successo a quelle di insuccesso, convinti che si possa imparare più dalle prime che dalle seconde. Vivono nel cloud ma non dite che hanno la testa fra le nuvole. Non amano andare a pagare le bollette alla posta e ad uscirsi – si dice scorrettamente così – i documenti al Comune.

Li senti parlare questi giovani iperspecializzati che non bevono, che fumano ma poco, che vogliono un mondo senza guerra e senza effetto serra, a cui piace la democrazia delle compagnie aeree low cost e ti piglia l’orrore. Perché in loro si è compiuta la realizzazione di un modello. Proprio come era stato negli anni 90 con il mito della finanza incarnato da Michael J Fox. Alla domanda Quo vado, dunque, non si può che rispondere così: – Ritorno al futuro -.

Quo vado? Ritorno al futuro

La narrazione di Nunziante, attraverso il più medio ed arcitaliano degli italiani Checco Zalone, piace a tutti, batte Star Wars, insuffla ossigeno dentro ai polmoni asmatici delle sale cinematografiche e però fotografa un’Italia che non c’è più. Già, perché oltre a non essere più sacro, il posto fisso non solo non esiste più, ma non è più l’obiettivo dei giovani.…

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