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Cita Margaret Thatcher che sottolineava come senza un’adeguata ricchezza il buon samaritano non avrebbe potuto aiutare il povero trovato per strada. Parla della “legittimazione del concetto di interesse” e ricorda come “i cristiani non sono manichei, noi non pensiamo che la materia e la carne siano male”. Quindi ricorda che la povertà promossa da Gesù è innanzitutto “povertà di spirito, una semplicità di vita”.

Ci voleva il cardinale George Pell (e il palco del Meeting di Rimini) per sdoganare certi temi sul fronte economico all’interno della Chiesa cattolica, tanto da arrivare a parlare di un “adeguato rendimento finanziario” come di un “obbligo morale”. Parole che, dette dall’ex arcivescovo di Sidney, fanno un certo effetto, soprattutto se si pensa che questo 75enne prelato australiano è stato scelto come Prefetto della Segreteria per l’Economia della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. Da chi? Da Papa Francesco, il pontefice che nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium scrive che “per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica”.

LA GESTIONE DEI BENI ECCLESIASTICI

Secondo Pell, intervenuto ieri alla kermesse di Cl all’incontro “Chiesa e denaro”, “è venuto il momento di mettere in ordine i nostri affari in modo che possano essere mostrati al mondo esterno”. Il motivo? Per il cardinale è quasi un fosco presagio: “La prossima ondata di attacchi alla Chiesa potrebbe essere per irregolarità finanziarie”. Ma per fare ordine e pulizia seguendo i principi di “efficienza e trasparenza” chiesti da Papa Francesco, servono competenze. Ecco perché il responsabile delle finanze vaticane ritiene “pericoloso e moralmente sbagliato il fatto che un esponente di vertice della Chiesa, un vescovo, un parroco o superiore religioso sia contento di non interessarsi minimamente di come i soldi della Chiesa vengano utilizzati e dica che ‘non capisce nulla di soldi’. Questo apre le porte agli incompetenti ed ai mascalzoni. Un leader della Chiesa non deve essere necessariamente un esperto, ma deve essere in grado di capire dove c’è del marcio e dare un realistico giudizio personale che i soldi sotto il suo controllo siano usati bene”. Non a caso “il diritto canonico prevede la presenza di almeno tre esperti laici (Christifideles) in ogni consiglio diocesano per gli Affari economici”.

LA RIFORMA ECONOMICA AVVIATA IN VATICANO

“In Vaticano stiamo tentando di mettere in pratica gli insegnamenti cristiani sulla proprietà, la ricchezza ed il servizio ai poveri ed a chi soffre. I moderni metodi di controllo sono buoni, e forse rappresentano il modo migliore per assicurare onestà ed efficienza” spiega il cardinale Pell. Segno che la riforma economica voluta da Papa Bergoglio, tanto da aver istituito una sorta di Ministero delle Finanze vaticano, prosegue a passo spedito coinvolgendo “esperti laici di grande competenza”.
Si tratta di un’indicazione emersa proprio “nel conclave prima delle elezioni di Papa Francesco, quando la grandissima maggioranza dei cardinali ha detto chiaramente che dobbiamo organizzare le cose in modo migliore, dobbiamo pulire le cose, dobbiamo avere efficienza e trasparenza e noi lavoriamo per questo”.
Le casse della Santa Sede però non stanno passando un momento particolarmente felice, se è vero che “c’è un deficit negli ultimi due anni” che “probabilmente continuerà”. Da qui l’invito di Pell a “lavorare” per rimettere in sesto i conti, sapendo che “il nostro fondo pensione è adeguato per forse i prossimi 10 o 15 anni, ma dobbiamo fare qualcosa sul serio per avere fondi sufficienti per i prossimi 25 anni”.

CHE FARNE DEGLI IMMOBILI ECCLESIASTICI

“Se la Chiesa ha investimenti e proprietà, le autorità ecclesiastiche hanno un obbligo morale di mirare a un adeguato livello di rendimento finanziario – puntualizza Pell -. Se questo obiettivo non viene raggiunto, spesso significa che qualcun altro ci guadagna”. E qui, per farsi capire meglio dalla platea, l’ex arcivescovo di Sidney ricorda quando “in una delle mie diocesi un parroco diede in affitto un grande edificio per un canone basso e non congruo. Il suo inquilino subaffittava una parte dell’edificio per una somma maggiore di quella che pagava al parroco per l’intero immobile”. Ne consegue che “dare in affitto immobili che ci sono dati da amministrare a amici o amici degli amici è sbagliato, moralmente sbagliato”. Dunque, “è prudente che le diocesi e gli ordini religiosi posseggano i loro edifici di culto e le loro scuole: ciò garantisce loro sicurezza di continuità”. Tuttavia, “è importante che, ad esempio, un parroco non tratti i possedimenti della Chiesa come se fossero suoi propri; i beni ereditati dalla Chiesa devono essere utilizzati per per finanziare le buone opere della Chiesa. E non devono essere dilapidati in una sola generazione”.

Chiesa e denaro, tutte le parole (non troppo bergogliane) del cardinale Pell

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