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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori e dell’autore, pubblichiamo l’analisi di Pierluigi Magnaschi, direttore di Italia Oggi e di Mf/Milano Finanza

L’Occidente, e anche i Paesi del Medio oriente in lotta fra di loro, non sanno che cosa fare per combattere l’Isis. Forniscono armi (ma non a tutti; e spesso le danno ai peggiori), fanno qualche missione di bombardamento aereo, usano i droni, assistono nel tiro dei missili, ma si guardano bene dal far mettere the boots on the ground, gli scarponi per terra, ai loro soldati. Vorrebbero sconfiggere gli estremisti islamici ma non vogliono rimpatriare le bare dei loro soldati caduti nel conflitto.

Ma, senza soldati che combattono a terra, non si vincono le guerre, né si sconfiggono i nemici, soprattutto quelli che sono disposti a mettersi in gioco fino in fondo. Gli unici che non hanno esitato a contrastare gli estremisti islamici dell’Isis sono stati, sinora, solo i curdi, i soldati cioè di un Paese che, in pratica, non esiste, il Kurdistan. E lo hanno fatto con grande determinazione ed efficacia, respingendo spesso l’Isis verso le posizioni di partenza.

I curdi sono un popolo, un popolo vero, che è stato espropriato del diritto di avere uno Stato, dalla diplomazia inglese che, quando si trattò, tra un whisky e l’altro, di ridisegnare a Londra, negli uffici che contano e che allora non rispondevano a nessuno, la carta del Medio oriente, all’inizio del secolo passato, dopo i conati derivanti della disintegrazione dell’Impero Ottomano, fece finta che il popolo curdo non esistesse e quindi lo spartì fra la Turchia, la Siria e l’Iraq, credendo che questo popolo fiero, dalle radici antiche, dopo qualche inevitabile protesta, avrebbe potuto essere assorbito dagli Stati che l’avevano fagocitato.

Le cose non sono andate così. E, in tutti questi anni, il popolo curdo è stato calpestato ma non domato. Per i paradossi che la storia, alle volte, è capace di creare, lo stesso Paese che aveva tentato di cancellare lo Stato curdo, cioè l’Uk, all’indomani della prima guerra contro Saddam Hussein dopo la sua invasione del Kuwait, per indebolire Damasco, aveva assicurato la no flying zone sopra l’area curda appartenente allo Stato iracheno, il cosiddetto Kurdistan, assicurandogli così, di fatto, una grande autonomia politico-amministrativa e lo sfruttamento delle immense fonti energetiche del territorio. I curdi hanno saputo amministrarsi bene. Hanno innalzato sensibilmente il livello culturale dei loro giovani. Dispongono oggi di una classe dirigente di grande livello, e non ci sono, nel paese, discriminazioni di sesso.

I curdi, nella lotta contro l’Isis, costituiscono un validissimo contrafforte. Ma sono visti con diffidenza, proprio perché hanno il senso dello Stato e, invece di fuggire a rotta di collo, come ha fatto, al primo contatto, il posticcio esercito iracheno, lasciandosi alle spalle, a beneficio dell’Isis, mezzi bellici modernissimi, hanno tenuto testa agli islamisti, hanno combattuto e spesso hanno vinto.

La Turchia, che dopo aver subito l’eccidio dei suoi giovani in un sanguinoso attentato dell’Isis perpetrato in territorio turco al confine con la Siria, ha capito che non può più tenere il piede in due scarpe e ha invitato la Nato (di cui Ankara fa parte) ad attaccare l’Isis, sia pure solo con missioni aeree. La Turchia quindi dovrebbe essere felice di combattere l’Isis assieme ai curdi, visto che entrambi hanno lo stesso nemico. Ma il fatto vero è che la Turchia teme i curdi più dell’Isis perché sa che la comunità curda occupa grandi aree nella zona orientale del suo paese per cui, se il Kurdistan iracheno dovesse crescere come stabilità autonoma e ruolo internazionale, esso finirebbe per esercitare un grande influsso sulla comunità curda che si trova attualmente sotto il tallone turco.

E se la Turchia è diffidente (sarebbe meglio dire ostile) nei confronti del Kurdistan, essa è in grado, inevitabilmente, di bloccare anche l’Occidente (e segnatamente gli Usa) perché la Turchia fa parte della Nato mentre il Kurdistan no, anche se quest’ultimo paese è molto più vicino ai valori delle democrazie occidentali di quanto non lo sia la Turchia di Erdogan.

Come si vede, il puzzle mediorientale non solo è sempre più complicato ma è anche sempre più aggrovigliato. Ed ecco spiegato perché una forza militare feroce ma anche scalcagnata come l’Isis sia stata sinora in grado di conquistare grandi aree nel Medioriente. Il perché è che essa è riuscita a infilare i suoi soldati come un coltello nel burro di tutti gli eserciti che gli si sono opposti, ad eccezione solo di quello del Kurdistan.

Perché i curdi sono un'arma per sconfiggere l'Isis

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