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Il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha detto che il suo omologo siriano Bashar el Assad potrebbe partecipare al processo di transizione di potere per risolvere la guerra civile. «Sia un processo di transizione senza Assad che uno con Assad sono possibili ─ le parole di Erdogan al termine della preghiera per l’Eid al Adha di ieri a Istanbul ─ Ma serve l’opposizione. Nessuno può immaginare il futuro della Siria con Assad. Non è possibile accettare una persona responsabile dell’uccisione di 300 o 350mila persone, un dittatore».

Dunque nel giro di un paio di settimane, il nemico dichiarato, la via assolutamente non potabile, il problema profondo, è diventato parte della possibile soluzione a breve termine della crisi siriana: Turchia, Stati Uniti e Germania (portavoce dell’Europa?), hanno aperto ad una possibilità di transizione politica che includa Assad. E sembra anche che l’ipotesi di un passaggio di consegne graduale, con il rais che continua a ricoprire il ruolo di presidente nella fase di transizione, ma svuotato di poteri, possa essere gradita anche ai vertici sauditi ─ e dunque è possibile che Riad si porti dietro il consenso allineato di diversi altri Paesi arabi, quegli stessi stati che si sono distinti negli anni di conflitto per il sostegno proxy ai gruppi combattenti (di varia tonalità islamista) contro il regime.

È probabile che dietro al cambiamento di rotta e di linea politica di Ankara, ci sia la decisione della Russia di intervenire nel conflitto ─ accordi economici sul gas e interessi geopolitici legano Turchia e Russia molto più di quello che si vede apparentemente. Non è un caso ─ o forse lo è: si sa le coincidenza spesso sono fulcro nella vita ─ se le parole di Erdogan arrivano il giorno successivo all’inaugurazione della più grande moschea europea, che guarda caso si trova a Mosca (in Russia ci sono 23 milioni di musulmani, circa due vivono nella capitale). Alla cerimonia inaugurale del tempio (che potrà ospitare 10 mila fedeli a pochi metri dello storico stadio Olimpiiski) il presidente turco ha presenziato in grande spolvero a fianco a Vladimir Putin.

Ufficialmente Ankara vede l’approccio russo come poco chiaro, ma Erdogan ha annunciato che un gruppo di lavoro composto dai ministri degli Esteri turco, americano e russo, lavorerà sull’argomento in occasione degli incontri diplomatici a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, prevista per il 28 settembre. Tra l’altro, sembra che Iran e Arabia Saudita possano essere coinvolti al tavolo di lavoro: fatto che segnerebbe la definitiva riqualificazione iraniana post-deal nucleare.

Ieri è uscita anche l’importante notizia sull’incontro tra Putin e Barack Obama, sempre in occasione dell’assemblea Onu. Secondo il portavoce della Casa Bianca John Earnest il motivo del faccia a faccia è la richiesta formale di sospendere il supporto ai combattenti filo-russi in Ucraina, mentre il portavoce di Putin Dmitry Peskov ha fatto sapere che l’argomento centrale sarà la situazione in Siria e che si parlerà di Ucraina «solo se resterà tempo». Una divergenza di dichiarazioni piuttosto importante, che è un assaggio della divisioni sulle visioni geopolitiche che accompagneranno l’incontro lunedì prossimo.

È chiaro che è arrivato il momento della stretta finale sulla Siria, forzata anche dal repentino aumento di coinvolgimento russo, che secondo qualcuno però è un segnale tanto geopolitico (imprimere presenza per guidare la transizione) quanto di apertura. L’analista Igor Bunin ha scritto giovedì sul sito di notizie Moskovsky Komsomolets che il recente calo dei combattimenti in Ucraina orientale e la volontà di Putin di «congelare la situazione» ci stanno mostrando che il presidente vuole «passare dalla sua vecchia idea di resuscitare il mondo russo a [quella di] tornare al gruppo di otto paesi che governano il mondo intero» ─ dopo la crisi ucraina e l’invasione della Crimea, la Russia era stata sospesa dal G8, che era tornato ad essere G7.

Un diplomatico europeo di sede a Mosca, ha dichiarato al Washington Post che c’è «un crescente appetito» soprattutto da parte dell’Europa, per incontrare Putin e coordinarsi. Fondamentalmente la presenza militare russa in Siria, anche con uomini a terra, è un sollievo per il disimpegnato Occidente, che ha cercato soluzioni alla guerra civile secondo la dottrina obamiana del “leading form behind”. «Dead end policy» ha definito la politica occidentale in Medio Oriente la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. «Noi non sosteniamo Assad come una persona» ha detto Zakharova: «Noi non abbiamo detto che lui è un bravo ragazzo, o che lui è un grande leader. Ma la Siria è un paese indipendente, e si dovrebbe sviluppare attraverso una evoluzione politica e non diventare un esportatore di terrorismo. Sosteniamo la lotta siriana contro il terrorismo».

È possibile che la posizione di Mosca “sul terrorismo” sia un pretesto di copertura per il vero fine russo. Più che combattere i terroristi, Mosca (e Teheran, l’alleato forte in Siria e sulla questioni regionali) ha tutto l’interesse di tenere in piedi il governo siriano, almeno fin quando non prenderà forma una transizione che le garantisca un ruolo di controllo nell’area mediorientale ─ ruolo per il momento delegato alla storica base di Tartus, e all’influenza moscovita sul regime di Latakia. Ma quel diplomatico che ha parlato al WaPo è stato chiaro: “noi Europa non abbiamo più tempo”: «Non è lui [Putin] che ha bisogno di un accordo» ma è l’Europa che deve trovare una soluzione profonda per far fronte ad un’emorragia migratoria senza precedenti. E dunque aprire ad Assad, come vuole Putin, sta rappresentando un pezzo, più o meno condivisibile, di soluzione.

@danemblog

 

 

Erdogan Turchia

Anche Erdogan apre ad Assad

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