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E pensare che le speranze del presidente Gustavo Petro erano decisamente alte. Forti dello stesso piano d’azione messo a punto dalla Colombia, Paese ospitante la Cop16, conclusasi sabato. Lavori nel solco della biodiversità ma, ancora una volta, poco fruttuosi. Impossibile non pensare alle conclusioni un po’ scoordinate della Cop28 dello scorso dicembre, a Dubai. Il filo conduttore è sempre quello, l’occasione mancata.

I governi invitati al tavolo della biodiversità si sono incontrati a Cali, in Colombia, per la prima volta da quando è stato raggiunto un accordo nel 2022 per fermare la distruzione della vita sulla Terra causata dall’uomo. I paesi speravano di fare progressi durante il vertice di due settimane su obiettivi cruciali come la protezione del 30% della Terra per la natura e la riforma di parti del sistema finanziario globale che danneggiano l’ambiente.

La carne al fuoco era tanta e il piatto forte era l’ambizioso piano di azione colombiano, finalizzato tra l’altro, entro il 2030, a estendere le misure di protezione ambientale al 34% del territorio nazionale (rispetto all’attuale 24%), a condurre processi di restaurazione ecologica su una superficie di 19 milioni di ettari, a destinare il 3% del Pil (dallo 0,8% di oggi) alla bioeconomia, a promuovere azioni di riconversione produttiva.

I negoziati avrebbero dovuto concludersi venerdì sera, ma si sono conclusi nella confusione sabato mattina, dopo quasi 12 ore di colloqui. Pare proprio che i governi non siano riusciti a raggiungere un consenso unanime, tanto che molti rappresentanti sono stati costretti a lasciare i colloqui, per mancanza di terreno comune. In altre parole, la Cop16 non è riuscita a raggiungere gli obiettivi necessari per fermare la crisi nel mondo naturale. Difficile dire che cosa non abbia funzionato.

I rappresentanti di oltre 190 Stati (tra cui l’Italia) si sono riuniti in Colombia, Paese che conta 98 tipi di ecosistemi generali e il maggior numero di farfalle al mondo, la più vasta gamma di famiglie di uccelli e la seconda per anfibi e pesci d’acqua dolce. Tesori da proteggere, anche a costo della vita, come mostra l’ultimo rapporto di Global Witness con il fermo immagine al 2022 che assegna proprio alla Colombia il triste primato mondiale con 60 attivisti uccisi per le loro battaglie.

Eppure, “abbiamo visto una leadership insufficiente da parte dei paesi più ricchi, l’Unione europea e la Francia in particolare, Canada, Svizzera, Giappone, Regno Unito, ma anche la Cina. Anche il segretario esecutivo della convenzione Onu sulla biodiversità è stato piuttosto fantasmatico”, ha affermato Oscar Soria, direttore del think tank Common Initiative. Mentre Brian O’Donnell, direttore della Campaign for Nature, ha accusato quei troppi paesi e funzionari delle Nazioni Unite, venuti a Cali senza l’urgenza e il livello di ambizione necessari. Il ritmo dei negoziati della Cop16 non riflette l’urgenza della crisi che stiamo affrontando”. Tra due settimane, a Baku, in Azerbaijan, si aprirà la Cop29 sul clima. Tanto vale sperare.

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