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Forse è arrivato il momento per essere chiari e non ipocriti. Quando si parla, ad esempio, di riproporre una gamba moderata o centrista o schiettamente riformista nell’alleanza di sinistra non si può dimenticare la storia e né ridicolizzarla. Fuor di metafora, chi rilegge la storia del Ppi di Gerardo Bianco e di Franco Marini o la Margherita di Francesco Rutelli, Franco Marini e Arturo Parisi, sa benissimo che il Centro da quelle parti, e dopo la lunga esperienza della prima repubblica, non era una operazione decisa e pianificata a tavolino dall’azionista di maggioranza della coalizione di riferimento.

Cioè dalla sinistra nelle sue multiformi espressioni. Si trattava, al contrario, di un progetto politico autonomo, coraggioso, realmente rappresentativo di un pezzo di società e, in ultimo, distinto e distante dall’alleato. Cioè, dal Pds o dai Ds. Certo, si trattava di una coalizione dove esisteva un Centro riformista, plurale e autonomo che si alleava, con un comune progetto di governo, con altri partiti espressione di altre culture politiche e rappresentativi di pezzi di società.

Appunto, l’esatto contrario della concezione dei “partiti contadini” di antica memoria molto cara ad esponenti di primo piano dell’attuale Pd, da Bettini in poi. Al riguardo, è persin patetico assistere al dibattito all’interno dell’attuale sinistra italiana dopo l’ennesima sconfitta alle elezioni regionali, quella della Liguria. Un dibattito che parte dalla necessità di avere una gamba moderata all’interno della coalizione di centro sinistra.

Una presenza che, come emerge concretamente dalle varie dichiarazioni, viene decisa a tavolino dai vertici del Pd e, di comune intesa con chi dovrebbe fare il “federatore” di questa potenziale area politica, sociale e culturale, procede ad allargarsi ad altri settori della società italiana. Insomma, potremo dire che si tratta di una operazione elitaria decisa e pianificata al vertice del Nazareno e con la benedizione dei dirigenti del Pd. Che cosa c’entri tutto ciò con una presenza centrista, moderata e riformista autonoma e realmente rappresentativa di un pezzo della società all’interno della coalizione di sinistra resta sostanzialmente un mistero.

Cioè, detta in termini ancora più chiari, ci sarebbero degli esponenti del Pd che momentaneamente escono dal Pd per dedicarsi ad organizzare l’area centrista. Ci sarebbe francamente da ridere se tutto ciò non fosse tristemente vero. Anche perché, e questo è l’aspetto politico ancor più rilevante, questa area centrista, moderata e riformista dovrebbe incasellarsi all’interno di una coalizione fortemente caratterizzata sul piano ideologico e marcatamente di sinistra. Ovvero, la sinistra radicale e massimalista della Schlein, quella populista e demagogica dei 5 Stelle e quella estremista e fondamentalista del trio Fratoianni/Bonelli/Salis.

Ecco perché, e senza alcuna polemica, è di tutta evidenza che l’operazione che il Pd intende mettere in campo è diametralmente opposta ed alternativa alla concreta esperienza che nel passato recente e meno recente hanno visto come protagonisti prima il Ppi e poi la Margherita. E se proprio si vuole percorrere, e del tutto legittimamente, quella strada si ammetta almeno che si tratta di un espediente tattico deciso a tavolino dall’azionista di maggioranza della coalizione stessa per tentare di bilanciare una coalizione fortemente sbilanciata a sinistra. E questo per non ridicolizzare la tradizione, la cultura, la politica e la prassi del Centro nel nostro Paese che, come tutti sanno, è stato e sarà sempre un’area importante e decisiva per il futuro stesso della nostra democrazia.

Sul centro e il Pd è arrivato il momento di essere chiari. Il perché lo spiega Merlo

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