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Che ci fosse aria di scontro era noto da tempo. La Bank of Russia contro il Cremlino. E viceversa. In mezzo, la tenuta di un’economia dalle due facce: una, quella ufficiale e colorata, dipinta da Vladimir Putin nel corso della conferenza stampa di fine anno. L’altra, decisamente più grigia, raccontata dal governatore della Banca centrale, Elvira Nabiullina. La quale sa benissimo che con un’inflazione all’8,5% i tassi al 21% possono non bastare ad azionare il freno di emergenza. Per questo l’intenzione, nel board pre-Natalizio, era quello di portare il costo del denaro al 23%, affossando ancora di più i consumi di quanto non lo siano già.

Venerdì scorso Nabiullina era pronta a un nuovo colpo di gas, spiegando come “la nostra politica è volta a prevenire scenari estremi, il che significa che non possiamo permettere che l’economia si surriscaldi ulteriormente: è necessario assicurarsi che il surriscaldamento si plachi. Detto questo, è necessario evitare un raffreddamento eccessivo, motivo per cui teniamo d’occhio i prezzi”. Ma il Cremlino, spalleggiato dagli oligarchi dell’industria bellica, centralina dell’impennata dei prezzi in Russia, si è messo di traverso.

E ha, nei fatti, fermato le macchine, lasciando i tassi al 21%. Perché? Probabilmente perché le imprese indebitate con le banche non riescono più a rimborsare i prestiti, troppo onerosi. O più semplicemente è diventato impossibile chiedere un finanziamento a qualsiasi istituto. Morale, Nabiullina ha dovuto piegarsi ai voleri del Cremlino e degli industriali. Ma il problema rimane, dal momento che l’inflazione non scende, i cittadini non comprano più i beni di prima necessità e aumentano furti e saccheggi.

Tutto questo mentre, fronte Ucraina, Kyiv sta già ricevendo fondi dagli Stati Uniti nell’ambito del prestito da 50 miliardi di dollari del G7, coperto dai profitti derivanti dai beni russi congelati. Il 18 dicembre, il Consiglio di amministrazione della Banca mondiale ha approvato sovvenzioni per 2,05 miliardi di dollari nell’ambito del programma Development Policy Operation (DPO), che fa parte del contributo di 20 miliardi di dollari degli Stati Uniti al prestito del G7. Quanto all’Europa, Bruxelles ha affermato che inizierà a pagare la sua quota del prestito del G7, pari a 18,1 miliardi di euro (18,8 miliardi di dollari), a partire da gennaio.

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