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La sera del 21 aprile 2002 ero a Strasburgo. Uscito dall’albergo ed arrivato nei pressi di place Kleber intravidi delle luci fioche che si muovevano in fondo alla strada che avrei dovuto attraversare. Avvicinandomi, udii un mormorio sommesso che si levava da un lugubre corteo che assomigliava ad un funerale. Centinaia di persone, perlopiù a capo chino, reggevano lunghe candele e si scambiavano parole che non comprendevo. Un signore che come me si era fermato a guardare l’insolito spettacolo in una fredda serata domenicale di primavera, mi spiegò che la Francia era in pericolo. Che cosa era mai accaduto? Jean-Marie Le Pen aveva superato il socialista Lionel Jospin al primo turno delle elezioni presidenziali e, contro tutti i pronostici, con il 16.9% conquistato, avrebbe conteso a Jacques Chirac, due settimane dopo, l’Eliseo. Alla fine l’union sacré républicain ebbe la meglio ed il presidente uscente si riprese la sua poltrona.

La “demonizzazione” del Front National ha funzionato fino a quando nel 2011 non è apparso l’astro di Marine Le Pen nel firmamento politico francese. Ma attribuire soltanto alla sua ascesa il trionfo del partito ereditato dal padre sarebbe improprio. In realtà il Front aveva già messo solide radici nelle terre del disagio dove, dall’immediato dopoguerra in poi e fino alla seconda metà degli anni Settanta, i comunisti avevano mietuto messi di consensi. Caddero, a partire da allora, quasi tutte le roccheforti della sinistra ed il Front National si faceva strada nell’elettorato francese, ma non sfondava per via della legge elettorale che lo teneva fuori dalle assemblee rappresentative. Il divario tra la consistenza numerica al Parlamento europeo e quella nazionale, inesistente, sottolineava l’anomalia. Un partito, insomma, che arrivava alle soglie della presidenza della Repubblica non aveva deputati e senatori e neppure consiglieri regionali, sindaci, amministratori comunali, a parte qualche rara presenza in luoghi marginali.

La “demonizzazione” ha lavorato contro chi l’ha orchestrata, finendo – ed è paradossale – per aggredire il Front National con i suoi stessi temi che oggi sono vincenti in Francia. Gli elettori, sia nelle municipali del 2014 che nelle provinciali del marzo di quest’anno, hanno preferito l’originale alle imitazioni ed hanno fatto convergere i consensi sul Front National.

Il grande sconfitto di quest’opera di demolizione, acquisendone paradossalmente le argomentazioni, è Nicolas Sarkozy. L’ex-presidente, ora leader dei Républicains, intendeva svuotare il Front National assumendone l’armamentario ideologico-politico, ma è stato sconfitto dalla sua tracotanza. Sfidando il buon senso e l’intelligenza degli elettori del centrodestra ha dato prova di inaffidabilità. Come gli si poteva credere in tema di difesa dell’identità, della sovranità, del diritto dei francesi a ribellarsi alle burocrazie europee e a Schengen quando lui stesso è stato il paladino del contrario contribuendo ad affondare la Francia facendone un’ancella della Germania della Merkel? Sarkozy ha tradito quel gollismo “sociale” a cui si erano rifatti i suoi predecessori, ha smontato l’idea stessa di nazione alla cui costruzione il Generale aveva dedicato i suoi sforzi, ha umiliato l’autorità dello Stato e ha trascinato il suo Paese in una inutile e dannosa impresa in Libia i cui tragici effetti tutta l’Europa sta pagando?

La prossima mossa di Marine Le Pen, in vista delle presidenziali del 2017, sarà proprio quella di svuotare a sua volta il partito di Sarkozy e candidarsi a rappresentare tutta la Francia che non è di sinistra, che non si riconosce né in Hollande, né nel Fronte de Gauche. Gli elettori sono consapevoli che da Chirac all’attuale inquilino dell’Eliseo la Francia ha perso il ruolo che le competeva sullo scenario mondiale, ha visto smontare il sistema di sicurezza con la diminuzione delle risorse alle forze di polizia, ha assistito alla crescita del disagio nelle banilieues dove spesso la violenza è insorta dilagando nel Paese, ha malinconicamente sopportato l’impoverimento come conseguenza della condiscendenza delle classi dirigenti ai diktat europeisti, l’aumento delle tasse e del debito pubblico, la crescita della disoccupazione e l’ampliamento delle disparità sociali, ha toccato con mano la decadenza dello Stato laico nel nome di un relativismo multiculturale che ha generato l’infelice identità.

Su tutto questo – e su molto altro ancora – la Le Pen affonderà la sua lama politica come in pezzo di burro sfatto. Se poi la si vorrà ostacolare con una nuova campagna di demonizzazione, avrà tutto da guadagnare. E lo si vedrà fin da domenica prossima quando le vili desistenze socialiste (tranne uno, il candidato alsaziano che si è ribellato) annunciate dal primo ministro Valls non basteranno ad impedire che in tre o quattro regioni (tra le più importanti del Paese) il Front National prevarrà. Ne è convinto Sarkozy che di patti con Hollande non vuol sentir parlare anche perché il suo futuro è molto meno roseo di quanto i Républicains immaginavano. Le guerra tra i pretendenti alla sua successione è già cominciata. Il centrodestra moderato e confuso, abbandonato e dileggiato da chi lo aveva sostenuto, si avvia ad una lunga traversata nel deserto.

Perché la demonizzazione del Front National non funziona

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