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L’Europa si trova dinanzi a sfide di enorme portata, dice a Formiche.net Paolo Pombeni, professore emerito all’università di Bologna e neo direttore della storica rivista il Mulino per il triennio 2024-2026, per cui Giorgia Meloni potrà essere deus delle nuove destre solo con un consenso ampio e solo se saprà farsi strumento di questo consenso, “tenendo a freno la stupidità dell’estrema destra e capendo che bisogna lasciare qualcosa anche agli avversari”.

Da Madrid parte la sfida della destra globale: Giorgia Meloni, forte del biennio alla guida dell’Italia in cui non è arrivata la troika, potrà essere trait d’union tra destre e amministratori pragmatici?

È possibile, ma non è garantito. In politica non è mai garantito nulla. Tutto dipenderà sia dalla sua abilità sia da come uscirà dal confronto elettorale e quindi anche come riuscirà a contenere la sua immagine in termini moderati. Inoltre dipenderà altrettanto da quanto spazio saranno disposti a darle gli altri esponenti della destra, consapevoli che una volta che le hanno dato uno spazio poi quello spazio lei non solo se lo terrà, ma anzi lo amplierà.

Pensa che ci siano più rischi da destra, piuttosto che dagli avversari socialisti?

Sicuramente ci sono anche da parte degli avversari, quelli sono scontati e in seguito qualche compromesso si potrà anche trovare. Ma quelli di destra sono più pesanti perché è molto più difficile trovare un compromesso, in quanto inevitabilmente porta a un aumento del peso della statura della Meloni, che poi è quello che gli altri leader della destra secondo me fanno fatica ad accettare.

Quali gli errori da evitare?

Da un lato continuare a tenere il doppio standard: ovvero faccio la statista quando le circostanze me lo impongono, ma ogni tanto devo tornare a fare la leader barricadera e quindi devo tornare a tuonare con i vecchi slogan della destra underdog. Bisogna che lei si decida a lasciarsi alle spalle una parte di queste cose.

Quali invece i punti di forza?

Se riuscirà a convincere gli altri soggetti che siamo di fronte a un passaggio molto delicato che ha bisogno di coinvolgere uno strato molto ampio di consenso. Sarà necessario, quindi, sia il consenso di una destra non estremista sia il consenso di una sinistra anche qui non estremamente radicale perché il problema che abbiamo di fronte riguarda il cambiamento del mondo e per questa ragione bisognerà cercare di raccogliere una volontà comune al fine di remare assieme per governare questi processi di cambiamento. Ciò richiede un consenso ampio e lei dovrà essere in grado di offrirsi come strumento per questo consenso ampio, da un lato, tenendo a freno la stupidità dell’estrema destra e, dall’altro, capendo che bisogna lasciare qualcosa anche agli avversari.

Se, così come osservano i sondaggi, il nuovo Parlamento europeo sarà spostato a destra, quali politiche è lecito aspettarsi?

Il problema vero non è quanto si sposterà a destra il Parlamento europeo, ma quanto i governi che decidono del futuro europeo saranno capaci di comprendere la delicatezza di questo momento storico. La marea di deputati conta fino a un certo punto, sarà importante coagulare un modo di sentire comune.

A proposito di questo sentire comune, come giudica lo stato di salute dei Paesi europei?

Il giudizio complessivo è che tutti pagano il prezzo di questa grande trasformazione storica in cui ci troviamo immersi. Secondo me la gente sottovaluta questo fattore: sta cambiando tutto e la gente ha paura di assecondare questo cambiamento correndo in avanti alla cieca oppure illudendosi di ritornare indietro e di fermare il mondo. Questa sensazione è più forte nei grandi Paesi fondatori che come sempre hanno percorso più strada in questa vicenda, ma questo è un problema per esempio comune anche all’Olanda o al Belgio, Paesi maturi. Poi è chiaro che i Paesi di ultima aggregazione dell’est europeo possono illudersi di essere ancora nella fase creativa in cui si può fare un po’ di tutto.

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