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La deflazione globale continua imperturbabile nel suo corso. In Germania, secondo la lettura preliminare dell’Istituto ufficiale di statistica Destatis, l’indice dei prezzi al consumo è diminuito a settembre dello 0,2% a livello mensile, in calo rispetto al consenso degli economisti che si attestava a -0,1% m/m. L’indice dei prezzi al consumo è rimasto invariato su base annuale, in calo rispetto al dato di agosto quando era aumentato dello 0,2%. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo, sempre nello stesso mese di settembre, è diminuito dello 0,3% su base mensile e dello 0,2% anno su anno.

L’onda lunga passa attraverso la Germania per via del suo più alto grado di apertura al commercio internazionale, visto che il suo import è pari ad oltre 900 miliardi di euro, su un Pil di circa 3 mila: un calo dei prezzi delle materie prime influisce dapprima sui costi della produzione tedesca e quindi sui prezzi al consumo. Non c’è solo il crollo dei prezzi del petrolio, ma quello di gran parte delle commodities mondiali.

La riduzione dei prezzi all’importazione anticipa una ulteriore contrazione della domanda mondiale: viene travolta l’intera impostazione di politica economica dell’Unione europea, che ha basato la ripresa dopo la crisi sull’export. La domanda internazionale è già andata scemando, per i più diversi motivi: l’import della Russia si è contratto per ragioni politiche; quello dei Paesi arabi si è ridimensionata per via del crollo del prezzo del petrolio, con l’Arabia saudita che è divenuta prenditrice netta sul mercato dei capitali ed addirittura ha iniziato a disinvestire asset per 70 miliardi di dollari; Pechino, a sua volta, dopo aver dato fondo alla sua capacità competitiva sull’estero avendo completamente sbaragliato le industrie concorrenti, ha iniziato a ripiegare, soprattutto per via della contenuta dinamica europea. I mercati di sbocco della Cina sono ormai saturi della sua offerta produttiva ed il rallentamento dell’export, assolutamente non compensabile da un corrispondente aumento della domanda interna, ha intaccato la crescita economica dei paesi fornitori di materie prime, dal Brasile all’Australia, inducendo il collasso dei prezzi che ora si rileva in Germania.

Siamo di fronte a un fenomeno deflattivo non contrastabile dalla Bce, che continua ad immettere liquidità nel sistema bancario acquistando titoli pubblici, o comunque emessi da istituzioni di interesse pubblico, per portare l’inflazione dei prezzi al consumo ad un livello prossimo, ma comunque inferiore, al 2% annuo. Anche la recente ipotesi di modificare la composizione dei titoli acquistati con il Qe, e magari di prolungarlo se necessario oltre la scadenza di settembre 2016, è assolutamente irrilevante rispetto allo scenario di globale che si sta delineando.

La prospettiva di una crescita europea basata sull’aumento della domanda estera, ed una sua accresciuta competitività internazionale fondata sulla diminuzione dei costi del lavoro, si sta dimostrando assolutamente illusoria. Il mix di politiche fiscali restrittive, volte da una parte a ridurre i consumi e le importazioni e dall’altra a ridimensionare i disavanzi pubblici, e di politiche monetarie accomodanti, volte ad agevolare gli investimenti finalizzati all’export, si sta dimostrando inconcludente. Il Piano Junker, tanto per citare uno dei tanto declamati driver che avrebbero dovuto sostenere gli investimenti europei, si è dissolto tra le nebbie bruxellesi.

Il sistema bancario europeo è ridondante di liquidità ed al contempo di sofferenze, oltre 2 mila miliardi secondo alcune stime: queste sterilizzano quote crescenti del capitale delle banche, rendendo così vana la disponibilità di risorse messe a disposizione dalla Bce attraverso la acquisizione di attivi. I debiti privati si incarogniscono progressivamente, in una economia in stallo.

I dati dell’inflazione tedesca, che non hanno ancora nulla a che vedere con le conseguenze del dieselgate innescato dalla Wolkswagen, dimostrano che l’Europa ha sbagliato completamente strada. Chiusi in un vicolo cieco, ormai accelerare non serve.

L'Europa nel vicolo cieco della deflazione

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