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“Il Governo si preoccupa del Sud? Allora anche il Sud deve iniziare a preoccuparsi, perché la storia insegna che tutte le volte che qualcuno da Roma ha alzato le antenne, cercando di intercettare i nostri bisogni, ha acuito i problemi piuttosto che risolverli”. Esordisce così Massimiliano Capalbo, manager calabrese e autore del volume “La terra dei recinti. Perché il Sud non riesce a trasformare in valore le risorse che possiede e come può farlo” (Rubbettino, euro 10).

Quando gli chiediamo che cosa pensa di quanto ha sostenuto il premier Matteo Renzi pochi giorni fa a proposito della “Questione Meridionale” e soprattutto dei dati catastrofici diramati dalla Svimez, Capalbo non fa una piega e, in maniera esplicita, spiega: “La soluzione ai mali della Calabria è una sola: lasciarla nelle mani dei buoni calabresi, quelli che fanno e non dicono di fare”. E prosegue: “Non abbiamo bisogno di soldi, non abbiamo bisogno di estranei che ci dicano cosa fare e come farlo. La Calabria ha bisogno dei calabresi, della loro testa, delle loro mani e del loro cuore. La mentalità disfattista, gli stereotipi e il vittimismo non ci servono”.

Massimiliano Capalbo è nato e cresciuto nella provincia di Catanzaro. Qui fa l’imprenditore, “nel 2008 assieme a Giovanni Leonardi abbiamo creato “Le Orme del Parco”, nel cuore della Sila, a Zagarise. E’ stata una scommessa vinta perché in quel territorio nessuno avrebbe voluto investire un euro. Per intenderci non c’era neppure la copertura telefonica”. Oggi è uno dei parchi eco-esperienziali più visitati d’Italia, con 130 mila visitatori in sette anni. “Questa è la dimostrazione che per generare turismo basta avere un’idea innovativa, il coraggio di rischiare e la capacità di analizzare la collocazione sul mercato. Non serve nulla di più”. “Perché sembriamo delle mosche bianche? Semplicemente perché siamo riusciti a creare impresa con successo. Ma farlo è semplicissimo, basta comprendere la domanda del mercato e declinare l’offerta stando a ciò che abbiamo davanti agli occhi”.

“La Calabria – aggiunge – ha tutte le carte in regola per rimettere a posto il suo stato di salute e non credete a chi dice che non c’è lavoro. Se sfruttassimo le risorse che abbiamo, non solo avremmo un lavoro tutti noi calabresi, ma dovremmo anche chiedere a qualcuno di darci una mano”,  spiega ancora Capalbo che non ha paura di fare la voce ottimista fuori dal coro.

L’imprenditore non ha alcuna remora nell’indicare in maniera precisa i punti deboli del territorio in cui vive e lavora, ma nel farlo non accenna ad alcuna lamentela. “Al Sud è più difficile fare impresa rispetto al Nord? Assolutamente no, è diverso. Ogni territorio infatti ha la sua geografia, la sua storia, i suoi limiti. Da noi ce ne sono alcuni, al Nord, sono certo, ce ne saranno degli altri, il Paradiso non è di questa terra”, dice piccato. “La Calabria potrebbe vivere di turismo: c’è il mare e la montagna, ricchezze inestimabili. Dunque, seguendo e assecondando la natura si potrebbe davvero valorizzare il territorio. Per esempio invece, non si può pensare di metter su un’acciaieria in Calabria perché non ci sarebbero i margini di realizzazione”, questo vuol dire secondo lui stare alla realtà.

E la ‘ndragheta, la mafia, in tutto questo dove la mettiamo? “La mafia non è uno spauracchio, è una mentalità, un modo di fare e soprattutto non è chiusa in un recinto. Non si può localizzarla e quindi stare lontano da lei, è parte del territorio. La si può combattere con i buoni esempi, mettendo in evidenza chi con fatica e sacrifici è riuscito a farcela”.

Della Calabria, l’imprenditore 42enne ne sa a memoria pregi e difetti. Per questo motivo ha deciso di mettere nero su bianco il suo pensiero in merito al futuro della “punta dello stivale”. Lo ha fatto senza sconti né derive vittimistiche. Avete mai sentito un calabrese che parla bene della sua terra? E’ raro, rarissimo. Capalbo lo fa: “Ci sono tante cose che non funzionano, ma tante altre che funzionano. Soprattutto, da chi dipendente il famigerato “funzionamento”? Solo da noi calabresi”.

Al Sud dobbiamo pensare noi meridionali. Parola di imprenditore

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