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Le dimensioni del sanguinamento finanziario che ha colpito Volkswagen in seguito all’incidente (se si può chiamare così) delle “emissioni irregolari” negli USA sono tali da rimanere esterrefatti. Come è stato possibile incorrere in una “epic fail” di tale portata per il colosso automobilistico nato e cresciuto nel Paese che mette il rispetto delle regole al primo posto in tutto?

In queste ore sono state annunciate una serie di indagini, sia interne che da parte delle autorità nazionali e internazionali, per ricostruire il più possibile la verità intorno a questo caso. Giusto attendere prima di formulare giudizi definitivi. Ma intanto, nella società globalizzata e iperconnessa, il sangue corre e sembra inarrestabile, tra ritiro di milioni di auto, crollo azionario e terremoto reputazionale. Il tutto reso ancora più “favolesco” se si pensa che la vicenda nasce da un test di un ricercatore americano che si chiama John German!

Ma al di là degli scherzi del destino, l’ambito su cui si può già mettere un punto riguarda la comunicazione e la responsabilità sociale d’impresa: emerge, ancora una volta, la sottovalutazione del concetto-chiave del discutibile ma visionario Cluetrain Manifesto: “i mercati sono conversazioni”.

Correva l’anno 1999 quando Levine e soci stilavano le loro 95 tesi sulla rivoluzione in atto nello scenario globale e sedici anni dopo c’è da non credere ai propri occhi quando, nel bel mezzo del mare in tempesta, ci si collega al profilo ufficiale di Twitter di Volkswagen per sentire la “voce” dell’azienda e si assiste, invece, all’upload di una video-fiction dal titolo “Le migliori storie nascono da un gesto”: un succo di storytelling al miele che collocato nella cornice di una crisi aziendale epocale fa a pugni con la realtà e con la ovvia richiesta dei follower di stare sul pezzo pancia a terra (a partire dai vertici aziendali).

Le aziende sono organizzazioni complesse, si sa, e come tali sono esposte a rischi quotidiani. Anche i migliori possono imbattersi in un grosso errore ed è proprio quando capita che occorre farsi trovare preparati, organizzati, reattivi e soprattutto consapevoli della potenziale reazione a catena del mercato-conversazione. Perché se ciò non avviene (come in questo caso) il danno diventa esponenziale perché fa passare il messaggio (magari assai lontano dalla realtà) di un’organizzazione indifferente o, peggio, orientata all’inganno.

Attenzione, qui sta il punto davvero critico della vicenda: anche se al momento può risultare difficile, forse impossibile, provare a mettere da parte tutto il rumore di fondo che avvolge questo caso, siamo di fronte, sì, ad un errore di enorme gravità e ad una colpa già ammessa ma ciò non dovrebbe affatto cancellare in un colpo solo la storia, i risultati ottenuti e le tante buone pratiche dalla casa tedesca. Ma è altrettanto evidente: se anziché il manuale di crisi e la war room, il management alterna scarni comunicati stampa a indispettenti promo commerciali sui suoi canali ufficiali, allora “Das Auto” può davvero trasformarsi in un gigantesco “Das Problem” per un’intera comunità aziendale e non solo…

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Tutti i puerili cappottamenti di Volkswagen

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