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Tutti gli occhi sono puntati verso Atene, per capire che cosa accadrà nei prossimi giorni: se il referendum popolare approverà o meno le proposte ultimative formulate dal Bruxelles Group per concedere le nuove tranche di prestito; se ci sarà il default sul debito pubblico; se la Grecia uscirà dall’euro. Tutto è possibile, per l’Europa e per l’euro.

IL VERO DEFAULT

Il vero default, che abbiamo sotto gli occhi da anni, riguarda l’intero progetto dell’Unione europea: è fallita, con danni irreparabili. Ancora una volta, ci si prospettano le solite soluzioni istituzionali, con il rafforzamento degli organi di vertice, del Parlamento europeo e della Commissione, e la consueta cessione di sovranità da parte degli Stati, contrabbandata dalla formula della “sovranità condivisa”. Le “regole”, invece, non si toccano: quelle sono inviolabili e sacre.

IL NUOVO RUOLO DEGLI STATI

Il primo guasto attiene al rapporto tra Stato e sistema finanziario. Gli Stati europei si sono sostituiti ai creditori privati bancari per salvarne i crediti: dapprima in Grecia, poi in Irlanda, quindi in Spagna. Si sono trasformati in esattori per conto di terzi, dapprima con il piano di salvataggio della Grecia basato sui prestiti bilaterali tra governi, e poi strutturalmente con la istituzione del Fondo Salvastati (ESM). Gli Stati europei sono diventati intermediari del credito: conferiscono capitale al Fondo, già frutto di un debito, che viene messo a garanzia per acquisire altre risorse sul mercato finanziario, a leva, che vengono a loro volta rigirate ai Paesi in difficoltà, o per sostenere i loro debiti pubblici o per salvare le loro banche.

ECCO QUELLO CHE VIENE NASCOSTO

Il grande azzardo morale delle banche europee è stato premiato, e soprattutto nascosto: dapprima ci furono i salvataggi decisi nel 2009 in Gran Bretagna, Francia, Germania, Belgio ed Austria, quando lo shock della Lehman Brothers palesò che i loro investimenti in titoli hight yeld d’Oltreoceano non avevano nulla di solido come sottostante. Poi fu la volta del salvataggio della Grecia: dietro il suo debito pubblico, cresciuto dai 140 miliardi di euro del 2000 ai 239 miliardi del 2007 c’erano sempre loro, le solite banche francesi e tedesche. E’ stato per salvarle dall’ennesimo default, e per evitare di dover mettere nuovamente mano alla scarsella, che si è rinsaldato l’asse franco-tedesco, all’epoca del Premier francese Nicolas Sarkozy.

COME SONO STATI SCOMBUSSOLATI GLI STATI

Il secondo danno, anch’esso irreparabile, è rappresentato dallo sconvolgimento dei sistemi politici europei indotto dalle politiche di austerità e dalla insostenibilità in un contesto di crisi prolungata delle migrazioni interne a causa di sistemi differenziati di welfare, su base nazionale. In Grecia, il bipolarismo Nuova Democrazia-Pasok è stato archiviato a favore di Siriza, all’estrema sinistra, e di Alba Dorata alla sponda opposta; in Spagna, i gruppi politici legati a Podemos hanno già messo in minoranza nelle elezioni amministrative i tradizionali sistemi di potere legati ai Socialisti ed al Partito popolare. In Italia, il Movimento 5 Stelle è stato il primo partito alle ultime elezioni politiche, sottraendo voti alle due coalizioni di centrodestra e centrosinistra. Venti di xenofobia e di antieuropeismo soffiano dappertutto: rafforzando la destra nella Francia di Marine Le Pen, e l’estrema destra nazionalista nell’Ungheria di ViKtor Orbàn, ma soprattutto obbligando il Premier conservatore inglese David Cameron ad indire un referendum entro il 2017 per decidere sulla permanenza nella Unione Europea, anche per sfuggire alla concorrenza dell’UKip (United Kingdome Indipendence Party) fondato da Nicolas Farage. Il tripolarismo, frutto della nascita di movimenti comunque insofferenti alle politiche in atto, mette a rischio la funzionalità dei sistemi rappresentativi tradizionali: il Premier greco Tsipras ha annunciato di voler fare ricorso al referendum popolare, sentendo l’insufficienza di un mandato elettorale di minoranza. Non basta aver ricevuto il 26% dei suffragi alle elezioni politiche quando si tratta di prendere decisioni così importanti. Si brancola: si cerca il leaderismo carismatico, il decisionismo serve per approvare a tutti i costi le riforme strutturali, le leggi elettorali manipolative tagliano le ali estreme, mortificano le opposizioni e drogano una minoranza elettorale trasformandola in una ipertrofica maggioranza parlamentare. Dall’altra parte, il sistema rappresentativo sente la necessità del ricorso diretto al popolo con il referendum, per ottenere una vera legittimazione. La Grecia di Tsipras e l’Inghilterra di Cameron sono le due facce della stessa medaglia: è l’intera Europa che si interroga sul suo futuro.

IL FALLIMENTO EUROPEO IN GRECIA

Ma il principale fallimento della Unione europea è rappresentato dalla incapacità di tener conto dei risultati già acquisiti dalla Grecia e di rilanciarne la crescita, anziché chiedere ancora altri sacrifici. Guardiamo i dati degli ultimi 15 anni: il Pil di Atene era stato drogato dall’afflusso di capitali stranieri, crescendo così del 28% in termini reali tra il 2001 ed il 2007, mentre il rapporto investimenti lordi/pil non era mai sceso al di sotto del 25% annuo. Nel frattempo, il debito pubblico era aumentato senza problemi di ben 100 miliardi di euro e la bilancia dei pagamenti correnti aveva accumulato altri 148 miliardi di euro di disavanzo. La disoccupazione si era andata riducendo, passando  dall’11% all’8%. Tutto cresceva, ma a debito verso l’estero. Dopo la cura imposta dalla Troika, il Pil è caduto del 26%, gli investimenti lordi sono scesi all’11%, la disoccupazione complessiva è arrivata a questa medesima percentuale, mentre quella giovanile tocca il 50%. La bilancia dei pagamenti correnti è in rosso di appena l’1%.  I risultati sul bilancio pubblico sono stati rilevanti: il saldo primario è positivo dal 2013, mentre il deficit è sotto il 3% già da quello stesso anno. Nel 2015, secondo il Fmi, avrebbe dovuto addirittura esserci un surplus di bilancio. Nel frattempo, il rapporto debito pubblico/Pil è schizzato al 172%: un livello insostenibile, se non c’è crescita.

LA GABBIA DI BRUXELLES

L’Europa è rimasta intrappolata nelle sue stesse regole: dal divieto di aiuti di Stato alle imprese, da cui solo i Lander orientali della Germania sono ancora esonerati, a quello di finanziamento monetario del disavanzo pubblico; dal mandato della Bce che viene impropriamente limitato alla stabilità dei prezzi al consumo, alla immissione di liquidità che avviene solo attraverso il canale bancario. I prestiti che dovrebbero essere ancora erogati ad Atene serviranno a rimborsarne altri in scadenza: quelli dell’Esm servono per onorare le scadenze del Fmi e viceversa. E’ un girotondo, un roll-over di titoli che va avanti così da anni, mentre gli interessi continuano a correre: se i greci si sono stancati, andremo tutti giù per terra.

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