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L’Artico resta nei sogni dei “cercatori di risorse”. Da una parte c’è l’amministrazione Obama che la settimana scorsa ha dato alla Royal Dutch Shell il permesso per effettuare delle trivellazioni a largo delle coste nord-occidentali dell’Alaska. Dall’altra c’è un tentativo di partnership tra Russia, Cina e India per esplorare l’Artico in cerca di gas e petrolio.

Il New York Times riporta che per l’ennesima volta a inizio agosto la Russia ha sottoscritto una petizione alle Nazioni Unite per reclamare l’estensione del controllo esclusivo su 1,2 milioni di chilometri quadrati di territorio artico – la grandezza del Texas.

“Sia l’India sia la Cina – si legge su Politico – mostrano il loro interesse nei confronti dell’Artico. La prima in un’ottica principalmente scientifica, la seconda in modo piu assertivo, dichiarandosi uno Stato vicino ai territori artici”.

Alla fine del 2014, durante una visita di Putin a Nuova Delhi, i due Paesi erano vicini a discutere un accordo di cooperazione per l’Artico, poi rinviato a causa di modifiche last-second della permanenza di Putin in India. Ma le basi per discutere della collaborazione restano e non sembra difficile crederlo se si considera che nel 2002 la compagnia pubblica indiana ONGC Videsh (OVL) ha acquistato il 20% del progetto Sakhalin-I localizzato nell’isola russa Sakhalin, partecipazione che garantisce rilevanti introiti alla compagnia.

China Daily scrive che la Cina è in attesa di ricevere la sua nuova nave rompi-ghiaccio che sarà pronta entro il 2016. Qu Tanzhou, direttore della amministrazione cinese per l’Artico e l’Antico ha affermato che “la nave è disegnata principalmente per missioni di ricerca e supererà di gran lunga le attuali potenzialità di Xuelong, l’unica rompi-ghiaccio a disposizione del Paese”. Secondo molti il più che ventennale accordo oil-for-cash tra la cinese CNPC e Rosneft potrebbe estendersi anche a certe aree dell’Artico.

Non bisogna dimenticare che le sanzioni imposte dall’occidente alla Russia, spingono ancora di più il Paese a cercare sbocchi e opportunità economiche con altri partner. Cina e India sono così in prima linea.

In America la decisione di concedere diritti di ricerca alla Shell ha irritato non poco la candidata alle presidenziali Clinton che su Twitter si è espressa cosi: “The Arctic is a unique treasure. Given what we know, it’s not worth the risk of drilling”. Agli scettici e a chi vede nella decisione di Obama un sostanziale passo indietro rispetto alla lotta contro il cambiamento climatico, Frank Benenati, portavoce della Casa Bianca risponde: “L’amministrazione ha investito molto nelle energie  rinnovabili per una transizione graduale verso una societa’ non più dipendente dalle fonti fossili. Ma non si tratta di una transazione immediata ed e’ per questo che abbiamo deciso di assicurare uno sviluppo sicuro e responsabile delle nostre risorse energetiche di cui possano beneficiare la nostra economia e la sicurezza energetica globale”. Brian Salerno, direttore dell’ufficio sicurezza e ambiente del dipartimento dell’Interno statunitense ha assicurato che le operazioni della Shell saranno condotte nel rispetto totale dei protocolli di sicurezza abientale e di eventuale gestione delle emergenze. Evidentemente un disastro come quello a largo delle coste messicane sarebbe molto piu difficile da gestire nell’Artico; è quindi importante essere pronti ad ogni eventualità.

I dubbi che ruotano intorno agli interessi per l’Artico non sono pochi. Si parla di rischi ambientali di rilevanza globale, costi elevati, impervie condizioni climatiche e basse dotazioni infrastrutturali nell’area.

Dagli ultimi studi della U.S. Geological Survey si apprende che un quarto delle fonti fossili globali non ancora scoperte si troverebbero proprio sotto l’Artico, di cui il 13% petrolio, il 30% gas naturale e il 20% gas naturale liquefatto (Gnl); l’80% del totale delle risorse sarebbe localizzato a largo delle coste.

Secondo le stime di agosto del mercato petrolifero pubblicate dall’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), “la domanda globale di petrolio nel 2015 e’ prevista in crescita di 1,6 milioni di barili al giorno, a un tasso di crescita tra i piu veloci degli ultimi cinque anni. Le condizioni macro-economiche – prosegue il report Aie – supportano per il 2016 un trend di crescita di 1,4 milioni di barili al giorno”.

Per cui, la domanda sembra sostenere l’offerta e le speranze di trovare giacimenti sono buone. Tuttavia restano i dubbi relativi alle condizioni e conseguenze climatiche ed economiche di esplorazione dell’area. Alcune stime ottimistiche valutano in $100 a barile il costo di estrazione nell’estremo nord del globo. Probabilmente troppo se si considera che l’attuale prezzo si aggira intorno ai $50 a barile.

Ecco le mire di Cina, India, Russia e Usa sull'Artico

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