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Il deputato della minoranza Pd Carlo Galli, in un documento che prospetta una possibile scissione, ha definito Matteo Renzi un “leader paracarismatico”. Il prefisso “para” può significare sia somiglianza e affinità, sia alterazione, deviazione, contrapposizione. Non c’è bisogno di spiegare a quale dei suoi due significati alludesse il politologo modenese.

Torna così nuovamente in ballo la critica a quella personalizzazione del potere che si sdoppia da tempo immemorabile in due modalità ben distinte, le quali “trovano nella classica tipologia weberiana una sistemazione ancora oggi validissima” (Mauro Calise, “Fuorigioco. La sinistra contro i suoi leader”, Laterza, 2013).

Da un lato, c’è quello che Weber definisce il potere tradizionale, basato sul denaro e sulla forza degli interessi particolari. Al potere del denaro e degli interessi particolari si può affiancare il potere della personalità. Weber ne individua i tratti originali nella definizione di carisma, cogliendo una costante delle organizzazioni complesse, dall’antichità fino all’età contemporanea.

Per il grande sociologo tedesco il capo carismatico promette per sua natura un nuovo inizio, e in questa promessa sta la sua capacità di trascinare le folle. Quando Weber scriveva le sue tesi, non c’era ancora la radio come canale di intrattenimento. Il cinema faceva i suoi primi passi, muti. E la televisione non era neppure immaginabile. Tuttavia, non aveva sottovalutato le potenzialità del potere carismatico. Con ciò presagendo genialmente l’irruzione, dopo pochi anni in tutta Europa, di leader visionari e magnetici.

Ora, Renzi non sarà un leader visionario e magnetico, ma ha capito quello che Silvio Berlusconi aveva capito vent’anni fa. Nel passato il messaggio doveva conformarsi, di volta in volta, alle diverse esigenze di gruppi anche assai ristretti. La comunicazione dei nuovi leader, invece, deve essere universalistica, deve concentrarsi su grandi scelte di campo che coinvolgano l’intera platea nazionale. Inoltre, deve riuscire a veicolare queste scelte nel linguaggio più chiaro e rapido possibile.

Al contrario, nel momento in cui doveva interloquire con una piazza virtuale in cui la forza del messaggio si identifica essenzialmente con la capacità comunicativa, nella vecchia leadership della sinistra è prevalso il riflesso oligarchico, la tendenza a ritrarsi su se stessa, sulle certezze della propria identità. Un meccanismo che la terrà lontana dalla Rete, percepita come un mondo non gestibile, proprio negli anni in cui il Web cominciava ad affermarsi come un formidabile canale di mobilitazione e di propaganda.

Al di là del giudizio che si può dare sul suo spessore politico e culturale, quindi, non c’è dubbio che Renzi si è abbattuto come un ciclone sull’incapacità dei vertici del Pd di adeguarsi alle regole della “democrazia del pubblico” (l’espressione è del politologo francese Bernard Manin), dove non si vota più tanto il partito e il programma (come avveniva nella “democrazia dei partiti”), ma si vota anzitutto la persona.

Con o senza “para” il leader carismatico potrà non piacere, ma con questo fatto occorre fare i conti. E i fatti, come tutti dovrebbero sapere, hanno la testa dura.

Perché il Pd deve adeguarsi a Renzi

Il deputato della minoranza Pd Carlo Galli, in un documento che prospetta una possibile scissione, ha definito Matteo Renzi un "leader paracarismatico". Il prefisso "para" può significare sia somiglianza e affinità, sia alterazione, deviazione, contrapposizione. Non c'è bisogno di spiegare a quale dei suoi due significati alludesse il politologo modenese. Torna così nuovamente in ballo la critica a quella personalizzazione del…

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