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Mentre l’attenzione sul confronto siriano è alta, sul fronte orientale della neonata guerra fredda riemerge il caso moldavo. Il 15 ottobre, in occasione dell’arresto di Vlad Filat, già primo ministro e a capo dei liberaldemocratici (LDPM) ora al governo, la folla circondava il parlamento per impedirne la fuga, mentre  l’immunità veniva tolta con 79 voti a favore su 99 deputati. Centinaia di tende assicurano la permanenza della rivolta, con tentativi ripetuti di accedere all’edificio da parte dei dimostranti, che chiedono le dimissioni del governo e del primo ministro, Valeriu Streleţ, in carica da luglio, dopo che il suo precedessore si è dimesso dopo cento giorni di accuse per titoli di studio falsi.

La protesta nasce dalla scomparsa di oltre un miliardo di euro dalle casse della Banca Centrale della Moldavia, in tre giorni precedenti le elezioni politiche del 30 novembre 2014. La pubblicazione della notizia del furto già il 3 maggio 2015 aveva fatto scendere in piazza nella capitale Chișinău migliaia di moldavi, diventati 60mila alla manifestazione del 6 settembre, secondo stime della polizia, e prodotto vari blocchi stradali e manifestazioni ancora a ottobre.

Il furto di un miliardo di euro rappresenta l’8% del PIL moldavo, come se in Italia sparissero 170 miliardi. Difficile capirne il percorso ma se ne intuisce la ragione politica, considerando che sono passati prima da tre banche (Unibank, Banca de Economii, Banca Sociala) controllate da un miliardario ventottenne filo-russo, Ilan Shor (reo confesso ma ora alla macchia), per essere poi prestati ad aziende assai opache e giungere in conti off-shore, dopo vari passaggi in Russia e Lituania, come racconta il rapporto Kroll reso pubblico dal portavoce del parlamento, Andrian Candu.

A promuovere la protesta è un movimento spontaneo, “Dignità e Verità” (Demnitate şi Adevăr) , mix di giornalisti- come Igor Botsman – avvocati, persone informate , studenti, nel classico modello della società civile. Di dichiarata tendenza pro-europea, il movimento attribuisce proprio ai partiti pro-europei – per intreccio d’interessi da oligarchi – un’incapacità strutturale di modernizzare il Paese, di superarne la corruzione, di avvicinarsi agli standard dell’Unione.

Il movimento è anche cavalcato dal neonato partito populista “Il nostro Partito” (Partidul Nostru) di Renato Usatîi, trentasettenne già presidente delle ferrovie russe di Nižnij Novgorod  (la Gor’kij sovietica, città dell’esilio di Sacharov) e già vicepresidente dell’Unione russa dei costruttori di strade ferrate. Proprietario di un discusso istituto di credito moldavo, Universalbank, la sua lista per elezioni del parlamento nazionale del 30 novembre 2014 fu esclusa per irregolarità e lui stesso posto sotto accusa come agente russo e costretto a fuggire a Mosca. Di ritorno a maggio 2015 è stato eletto il 14 giugno con oltre il 72% dei voti sindaco di Bălți, seconda città del Paese. A fianco dei dimostranti, c’è anche il partito socialista, tradizionalmente filo-russo, sebbene ora più prudente dopo l’esperienza della crisi ucraina.

In questo modo si fronteggiano due aree pro-europee, quella governativa, accusata di incapacità nelle riforme e nella lotta contro la corruzione, e quella di piazza di Dignità e Verità, che non riesce a costruire né leadership né forza politica, ed è a sua volta affiancata dal partito socialista e dai populisti filo-russi di Renato Usatîi. Il risultato è che se si dovessero tenere le elezioni che richiedono i manifestanti e l’opposizione vincerebbe la coalizione filo-russa. Il governo liberale in carica sta faticosamente cercando di alzare la testa. Nel discorso all’Assemblea dell’ONU del 1° ottobre, il primo ministro Valeriu Streleţ ha chiesto il ritiro dalla Transnistria dei russi, che ancora stazionano nella regione moldava autoproclamatasi indipendente sin dagli anni Novanta.

Il furto del miliardo di euro e vari movimenti di denaro e banche, l’affermarsi alle elezioni comunali di giugno di personaggi e nuove forze politiche filorusse, le tensioni nella coalizione pro-europea  hanno creato in Moldavia un clima di instabilità che potrebbe avere conseguenze importanti a breve termine.  Si tratta di un modo come un altro per rallentare l’attuazione dell’Accordo di Associazione del 27 giugno 2014 tra Unione europea e Moldavia, e per riportare i filo-russi al governo se la piazza riesce a far tornare il Paese a elezioni.

Nel temporaneo silenzio occidentale, si tratterebbe un metodo diverso e per il momento meno cruento di quello usato dalla Russia nel caso ucraino di Donetsk e Lugansk, come lo stesso ex-primo ministro Vlad Filat ricordava a Marc Champion di Bloomberg, nel fatidico novembre 2014 delle elezioni politiche e del furto del miliardo di euro.

Tutte le novità sulla crisi filo-russa in Moldavia

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