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Inaugurano il raddoppio di Suez e chissà quanto aumenteranno i traffici di merci nel Mediterraneo. Due, tre volte.
Dove si pensa, si studia e si pianifica, le cose avvengono. Come in Egitto, appunto.
Le merci vanno da Est verso Ovest, da dove si produce a dove si consuma, e su questa direttrice le previsioni dicono che le quantità di merci scambiate aumenteranno. Del 120%, forse del 160%. Dunque su Suez ha senso intervenire perché a cinesi e indiani non conviene certo circumnavigare l’Africa. Detto, fatto. Si allarga il canale. Ovvio, c’è già chi si preoccupa delle specie marine del Mediterraneo a rischio per via del fatto che dal Mar Rosso potranno arrivare nuovi predatori. Deve esserci Luca Mercalli in vacanza a Sharm. Ecco.
Raddoppiare Suez non è come fare la Tav, la linea ferroviaria ad alta capacità tra Francia e Italia, dove la quantità di merci che le due nazioni – essendo cugine e dunque molto simili – non può che rimanere pressoché costante nel tempo. Eppure noi, anziché guardare al Mediterraneo, ce ne stiamo in Val di Susa a prendere il fresco e a spartire qualche sana timpulata. Preferiamo litigare, romperci la testa – poliziotti contro manifestanti – per niente, per far rispettare una decisione presa a Bruxelles che ormai pure le pietre sanno non essere basata su alcun fondamento di opportunità economica.
E così, mentre il mondo si muove, e in fretta, e non solo a botte di banda larga, o innovazione, ma anche attraverso il traffico marittimo, l’Italia sta ferma al palo. Senza visione, miope.
E pensare che, per fare quattrini, basterebbe applicare un poco del nostro Dna. Non eravamo il popolo di navigatori, delle repubbliche marinare. Non eravamo e siamo quelli baciati dalla fortuna di essere al centro del Mediterraneo?
A noi, evidentemente, le opportunità non interessano. Prendete il porto di Pozzallo, ad esempio. Fu inaugurato nel 1980. La Cooper Smith, americana, era disposta, allora, a investire altri 30 miliardi per proseguirne lo sviluppo con la costruzione di un secondo molo. ‘Nzu. Così rispose la politica di allora. A Gioia Tauro il governo nazionale aveva promesso un polo siderurgico che non aveva mai fatto. E così, per sdebitarsi con la ‘ndrangheta fece il porto estirpando, peraltro, interi agrumeti.
Il porto di Pozzallo, da allora, da quanto fu inaugurato, non è diventato nulla. Una mezza cosa. Un poco industriale, un poco mercantile, un poco turistico. Un poco di tutto e un poco di niente. Recentemente la giunta di Pozzallo si è data da fare perché il porto diventasse un punto di approdo per le grandi navi da crociera. Dopo il recente attentato a Tunisi, essendo la vecchia Cartagine una tappa fissa delle crociere nel Mediterraneo, si aprivano infatti buone speranze. E invece nulla. Le navi da crociera continuano a passare tutte da Palermo. Che, poi, a dirla tutta, è proprio voler intercettare il peggior turismo. Quello di un giorno dalle 9 alle 17. Il turismo che, al massimo, spende due lire per qualche cianfrusaglia.
Quanto invece alla vocazione turistica del porto, quella legata al diportismo, per dire, visto che tutte le volte che qualcuno ha provato a farci arrivare qualche container di troppo, l’obiezione è sempre stata quella di evocare la bellezza della costa e la sua spiccata vocazione turistica, ogni anno è puntualmente insabbiato. Il porto piccolo è, infatti, aperto sul lato di levante – penso che sia uno dei pochi porti con un fianco aperto – e d’inverno subisce spesso imprevedibili mareggiate. La messa in sicurezza, il dragaggio, nel più classico dei rituali italici, è un problema del concessionario. Di chi ha la concessione per la gestione dei moli per il diporto nautico.
E tra i concessionari (che sono due), è un problema di quello più penalizzato, il cui molo è il primo a essere investito dall’eventuale onda anomala. L’altro concorrente, forte di qualche protezione, ha peraltro una serie di moli anche sul lato del porto grande e dunque, per grazie pubblica, s’incassa col minimo sforzo il lavoro del competitor nel porto piccolo. Anzi, al competitor gli manda semmai controlli su controlli attivando qualche amico nei tanti, troppi, anzi diciamo infiniti enti competenti, pur di mettergli i bastoni tra le ruote. E così, dato che di traffici al porto ce ne sono sempre meno perché i pozzallesi autoctoni sono poco diportisti, i pescatori diminuiscono perché il mestiere è duro e rende poco, i maltesi con gli yachts grandi al porto piccolo non possono entrare perché il pescaggio è piccolo, al porto di Pozzallo non rimane che il catamarano per Malta. Bontà sua. E rimangono gli immigrati. E così, più che un porto, è un parcheggio. E chi lo gestisce il parcheggio sul demanio? Sempre il solito concessionario. Tant’è.
Al pomeriggio, in una di quelle giornate di Luglio in cui il sole pare poggiarsi sull’asfalto, il porto di Pozzallo sembra un effetto ottico di origine atmosferica. C’è ma non c’è. Pare Italia ma non è Italia.
Certo, ci sono la capitaneria di porto, la dogana, ci sono un mucchio di enti e di uffici. Posti ambiti, anzi ambitissimi. Dove non si arriva per merito. Ci vuole un calcio nel culo da farsi tre mesi di Ospedale. Stiamo parlando di un win for life, ragazzi non scherziamo.
Il porto diventa la metafora di tutta quell’Italia in cui una politica miope stretta dai mille ricatti elettorali, in una logica tutta al ribasso, ha creato strutture destinate all’asfissia, col freno a mano tirato. Un catblepismo da quattro soldi. Perfino i ras locali fanno tenerezza,miniature di malaffare, capaci di perpetrare i loro piccoli soprusi solo in quel piccolo acquario. Diportisti dell’illegalità sono. Figuratevi che i cantieri Scala, una delle poche attività private, non sussidiate, che nel solco della tradizione dei maestri d’ascia di Pozzallo si prendono cura delle barche, dai pescherecci fino ai più moderni yachts, e che hanno la darsena lì di fianco sul porto grande, si sono visti negata la possibilità di ampliare la darsena di qualche centinaio di metri. Ogni volta per un no di un diverso ufficio competente. Perché, ovvio, a Pozzallo se non ci sono i competitor che ti vogliono fare le scarpe, ci pensano i competenti. Pensate che i cantieri Scala riescono veramente a fare della centralità del Porto di Pozzallo un vantaggio competitivo, sono diventati un punto di riferimento nel Mediterraneo per coloro che fanno viaggi d’altura con grandi motoryachts e si trovano ad avere qualche avaria e dunque necessità di ricovero.
Ecco perché bisogna dare prospettiva e respiro economico alle infrastrutture. Perché di fronte al mare aperto, solo chi sa nuotare c’è la fa. Si chiama sana competizione.
Ma siccome c’è sempre il contrappasso, purtroppo o per fortuna, ecco che la storia ha voluto passarsi lo sfizio di mettere lei Pozzallo al centro di una prospettiva più ampia. E i cambiamenti indotti dalla storia non sono come quelli promessi dalla politica nostrana. Tutto quel traffico turistico e commerciale che non siamo stati capaci di fare venire, se ne sta venendo tutto in una volta, con gli interessi, per tramite di un esodo biblico senza precedenti.
Ora che si fa? E che si può fare di fronte a fatti economici, sociali e storici di dimensione e scala planetaria, biblica appunto, se il porto di Pozzallo che, in virtù della sua centralità, si trova in mezzo, è sotto la competenza del Comune?
Capite? All’inaugurazione del raddoppio di Suez, c’è il presidente Al Sissi. Il porto di Pozzallo che, potenzialmente, sarebbe l’infrastruttura omologa, è sotto il comando di uno scienziato di sindaco di un comune di venti mila abitanti che il viaggio più lungo che ha fatto nella sua vita l’ha fatto per il viaggio di nozze. Certo, a Pozzallo c’è andato anche Alfano. Chi? A Pozzallo Alfano è solo un bar sul Corso.
Possibile che nessuno del Ministero dello Sviluppo Economico abbia mai guardato la cartina del Mediterraneo? Non sarebbe ora di fare qualche telefonata ai principali vettori: Hanjin, Maersk, Uasc, Evergreen. Altro che concessioni, se risponde qualcuno di questi, vendiamogli tutto il porto. Con tutti gli uffici competenti.

Se raddoppiano Suez, raddoppiamo Pozzallo

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