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Perugia ─ Il ministero della Difesa iracheno ha comunicato ieri, mercoledì, che un raid aero americano ha ucciso Abu Alaa al Afari, o al Afri (il vero nome è Abd al Rahman Mustafa al Qaduli, se n’era già parlato su Formiche).

Si tratta di uno dei massimi vertici dello Stato islamico, un uomo inserito nella lista dei super ricercati che gli Stati Uniti hanno diffuso pochi giorni fa: la sua importanza è strettamente legata al fatto che, dopo la diffusione della notizia del ferimento (qualcuno dice della morte) del Califfo Abu Bakr al Baghdadi, la sua funzione sarebbe in questo momento di vicario ─ una sorta di vice-Califfo, o addirittura, se Baghdadi fosse realmente morto, proprio di Califfo.

Per il momento il Pentagono, attraverso CENTCOM ─ il Comando Centrale, che coordina le operazioni dall’Egitto verso est fino all’Afghanistan ─ dice di «non poter corroborare» le informazioni che stanno girando sui media. E la fonte diretta, il ministero iracheno, non è tra le più affidabili ─ in un mix di propaganda e sbadataggine, nel corso di questi mesi di guerra, da Baghdad ne hanno sparate tante, molte assolutamente fasulle.

Prima di andare avanti, una nota di colore. La notizia, piuttosto importante ma come detto priva di una verifica solida (e quanto meno di una “doppia” verifica, richiesta in certi casi), sta uscendo per assodata in quasi tutti i media italiani ─ fa eccezione il Foglio, dove Daniele Raineri, che è esperto e sa quel che fa, l’ha messa subito in dubbio sulla premessa del pezzo. Non bastasse, a testimoniare l’istintività con cui ci si approccia a certe vicende e la scarsa competenza con cui si compilano alcuni articoli, su due dei più importanti giornali italiani, la notizia è uscita con allegata la foto sbagliata: quello delle immagini non è Abu Alaa al Afari, ma Sheikh Abu Qatada (Abu Qatada al Filistini è un chierico giordano di origine palestinese, notissimo nel mondo del radicalismo islamico, accusato e processato nel Regno Unito per i suoi link con al Qaeda). Bastava andare su Wikipedia, non serviva essere esperti, per reperire la foto che ufficialmente gira su al Afari, e che è stata diffusa poco tempo fa dal dipartimento di Stato americano: è una foto segnaletica di quando lui era prigioniero (fu rilasciato nel 2012). Fine della nota.

Secondo quanto annunciato dal portavoce del ministero della Difesa iracheno, il generale Tahsin Ibrahim, al Afari è stato colpito lunedì 4 maggio in una moschea di Tal Afar, cittadina una settantina di chilometri a ovest di Mosul ─ spiega Raineri che i «talafariyin» sono considerati «fra gli uomini più spietati e determinati dello Stato islamico fin dagli anni della guerra contro gli americani, perché uniscono alla carica ideologica anche una forte dose di revanscismo locale (si sono sentiti molto maltrattati dal governo negli anni passati). Si raccontano storie cruente su di loro, per esempio che imbottissero con l’esplosivo i cadaveri dei soldati per uccidere chi poi arrivava a recuperarli.». Al Afari predicava spesso nella sua città natale Tal Afar.

Ma ci sono delle incongruenze, che minano (ancora) l’affidabilità del governo di Baghdad ─ che per inciso ha dichiarato morto Baghdadi in luglio, settembre e novembre del 2014, sempre smentito da audio diretti del Califfo, e poi in ultimo in aprile 2015 (morto o gravemente ferito), negato dal Pentagono. Innanzitutto CENTCOM dice di non aver compiuto raid su una moschea, come invece dice il generale iracheno. In più, il ministero della Difesa ha pubblicato un video della registrazione dell’attacco, che farebbe da prova, ma è si tratta di immagini che risalgono al 4 maggio (come detto), mentre è noto che Abu Alaa al Afari ha tenuto un sermone a Mosul l’8 maggio ─ dunque quel video non c’entra niente.

Anzi proprio quella preghiera guidata da al Afari a Mosul, nella stessa moschea in cui Baghdadi annunciò al mondo la proclamazione del Califfato, viene considerata dagli esperti di jihad una sorta di sua presentazione pubblica. Questi sono giorni complicati per lo Stato islamico che deve rispondere a offensive su più fronti, dall’Anbar in Iraq, a Deir Ezzor e Aleppo in Siria. In più c’è sicuramente un deficit di leadership (e magari la ragione è proprio il gravissimo ferimento di Baghdadi, ma siamo nel campo delle supposizioni) che sta aprendo le maglie della rigorosa segretezza che contraddistingue il gruppo. Circolano voci su scontri tra fazioni interne proprio a Mosul (e magari, ancora, la ragione è la successione ricadente su al Afari) e ci sono notizie sulle forti rivalità che si stanno sviluppando tra alcuni papaveri ─ cose che mesi fa, sarebbero difficilmente circolate.

Queste circostanze, tuttavia, possono anche far pensare che l’uccisione di al Afari sia vera: l’abbassamento del livello di sicurezza interno, che ha permesso agli Stati Uniti di individuarlo come numero due (se non addirittura uno) dell’IS, potrebbe anche aver favorito l’intercettazione dei suoi spostamenti. Ma, ad ora, servono ulteriori conferme.

@danemblog

(Foto: Abu Alaa al Afari, foto ufficiale del programma Rewards for Justice del dipartimento di Stato americano)

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