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La recente caduta del prezzo del petrolio rimette in gioco la speranza di una maggiore ripresa economica nell’area euro, ma “il rischio che nell’attuale situazione vi siano anche effetti di contrazione non va sottovalutato”. Infatti, “in condizioni normali il calo del greggio è una notizia unicamente positiva”, come riscontrato durante il controshock petrolifero del 1986. Tuttavia, “l’economia europea da alcuni anni non opera più in condizioni normali, si trova nell’eccezione”. Per questa ragione pare opportua una sana prudenza nelle valutazioni degli effetti della caduta del prezzo del petrolio.

I potenziali effetti depressivi della caduta del petrolio

Nell’attuale contesto di inflazione a zero – addirittura negativa per alcuni paesi – e tassi di interesse della Bce ai minimi possibili, combinato al processo di riduzione del debito in atto in gran parte degli stati europei, “l’ulteriore impulso al ribasso sulla dinamica dei prezzi, fornito dal petrolio, rischia di abbattere ancor più le aspettative di inflazione, facendo aumentare i tassi di interesse reali e causando, così, effetti depressivi”. In particolare, nell’impossibilità di ridurre ulteriormente i tassi di interesse per contrastare la discesa dell’inflazione sotto il livello di equilibrio, “lo shock negativo sui costi si traduce in aumento dei tassi di interesse reali, causando contrazione dell’attività economica, più marcata se vi sono soggetti indebitati colpiti dal calo dei prezzi”. Inoltre, possibili ripercussioni si potrebbero avere anche sul fronte del lavoro. “In presenza di rigidità al ribasso dei salari nominali, prezzi in calo si traducono in maggiore costo reale del lavoro con conseguenze negative per il processo di riassorbimento della disoccupazione.”
In sostanza, nella misura in cui “le economie europee e l’Italia avrebbero bisogno di maggiore, anziché minore, inflazione”, le conseguenze negative della caduta dei prezzi del petrolio dipenderanno dal “grado di diffusione delle pressioni disinflazionistiche al di là degli effetti (benefici) di primo impatto e [dal]le ripercussioni sulle aspettative”, nonché dalla “dimensione e qualità dell’espansione quantitativa di liquidità decisa a Francoforte”.

L’inflazione attesa e la necessità di contrastare le spinte disinflazionistiche

L’attuale controshock petrolifero si è verificato in una situazione di allontanamento delle aspettative di inflazione dall’obiettivo del 2% della Bce per l’area euro. “Il rischio più concreto è che la sconnessione tra attese degli operatori e target della Bce si rafforzi col ridimensionamento del greggio”. Per l’Italia, si registra tra il 2008 ed il 2014 un disancoraggio delle attese delle famiglie che sembrano divenute “adattive”, ovvero legate “all’osservazione delle dinamiche correnti” anziché all’obiettivo della Bce. In particolare, risultano “più sensibili alle dinamiche dei prezzi per gli acquisti di ogni giorno”, “quelli su cui incide in modo diretto il calo del petrolio (prezzo dei carburanti)”.
“La Bce è chiamata a cercare di neutralizzare queste tendenze” e a “contrastare il radicarsi nell’economia delle spinte disinflazionistiche e la caduta delle aspettative che vengono dal petrolio”. L’unica opzione che resta è la via della liquidità. La decisione della Bce di adottare uno strumento non convenzionale come il quantitative easing dovrebbe consentire di abbassare i “tassi di interesse reali, creando inflazione e soprattutto aspettative di inflazione”. Se riuscirà nell’impresa, è dificile a dirsi. Molto dipenderà dalla disponibilità della Germania a “perseguire un’inflazione al 3%” in netto contrasto con il suo credo antinflazionistico; dall’adeguatezza della dimensione del Qe; e, non meno importante, dalla credibilità che l’intervento permarrà anche oltre i raggiungimento del 2%, “perché non conta la realizzazione del target in alcuni mesi, ma il fatto che esso venga incorporato stabilmente nelle aspettative future.”

L’articolo integrale è stato pubblicato nel numero 1.2015 della Rivista Energia nell’ambito di un pacchetto di analisi dedicate al mondo del petrolio e che comprende i contributi di Rabah Arezki e Olivier Blanchard (FMI), Edward L. Morse (Citigroup), Alberto Clô (Rivista Energia), Enzo Di Giulio (Scuola Mattei-Eni Corporate University). Per una maggiore completezza dei contenuti e accuratezza dei dati si rimanda alla versione originale; ogni eventuale discrepanza è da attribuirsi alla Redazione della Rivista Energia.

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