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Lucido e asciutto, quanto inquietante e controverso. Estremamente logico, ma allo stesso tempo contraddittorio. Dire che Steve Bannon, vero e proprio ideologo del movimento populista mondiale, sia pienamente consapevole dell’estrema criticità del ruolo della comunicazione potrebbe sembrare una tautologia. E forse lo è. D’altronde, è sull’onda delle sue capacità comunicative che nelle democrazie occidentali si è sviluppato quel fenomeno populista che, se da un lato sembra voler prendere a picconate la moderna struttura democratica dello Stato occidentale, dall’altro si proclama (almeno a parole, a proposito del ruolo della comunicazione) come la forza capace di salvare la democrazia dallo stato di corruzione in cui versa oggi.

Nel colloquio avuto con l’opinionista del New York Times David Brooks, poche ore prima di iniziare a scontare una pena di quattro mesi in prigione alla quale è stato condannato in quanto colpevole di oltraggio al Congresso, Bannon celebra il trionfo su entrambe le sponde dell’Atlantico del populismo destrorso e nazionalista da lui propagandato. Un populismo che si concentra su tematiche chiave come l’immigrazione e la spesa pubblica, che in realtà sono soltanto epifenomeni di una più profonda dimensione politica che lui stesso definisce “spirituale”, afflitta da “mancanza di fiducia e il disprezzo per la propria civiltà e la propria cultura”. Ma le soluzioni che Bannon propone per curare questo “malanno” hanno poco di spirituale, e molto di concreto. Dal tagliare del 50% il numero di studenti stranieri accettati dalle università statunitensi, limitandone anche il permesso di soggiorno al termine degli studi, alla sospensione totale degli aiuti all’Ucraina (senza fare differenza di sorta tra aiuti militari e aiuti umanitari), fino all’adozione della linea che-più-dura-non-si-può lungo il confine meridionale del Paese.

Un approccio che fa apparire Donald Trump, primo vero enfant prodige statunitense di questo movimento, come un moderato. È lo stesso Bannon a definirlo tale, sottolineando come le sue posizioni su pressoché tutte le questioni più scottanti siano comunque più morbide rispetto al movimento Maga (Make America Great Again), il quale “si sta spostando molto più a destra rispetto al presidente Trump”. Colmando però un vuoto che, almeno in parte, sembrava afferire a posizioni di sinistra. “La sinistra non aveva quello che serviva a causa delle questioni culturali e razziali e di tutta quella follia in cui è inserita”, commenta Bannon. “Dovevano avere frontiere aperte. Dovevano avere il D.e.i (Diversity, Equity and Inclusion). La sinistra storica è in piena crisi. Si concentrano sempre sul rumore, mai sul segnale. Guardano il rumore intorno a Trump e non colgono il segnale di ciò che sta realmente accadendo, non riescono a superarlo e ne sono accecati.

Attraverso l’intera conversazione con Brooks, l’ideologo populista stressa come il contatto diretto, puro, non-filtrato o intermediato tra il popolo e il movimento Maga sia il nucleo del suo potere. E nel farlo utilizza termini incisivi, spesso di origine fideistica, capaci di trasmettere un senso di messianismo religioso. “La divina provvidenza”. “Una guerra spirituale”. A questi termini accosta elementi di estremo pragmatismo, come “la difficoltà di arrivare alla fine del mese”. È questa la ricetta della “punta di lancia” (altro termine sapientemente sfruttato dall’intervistato) del movimento populista statunitense. Una ricetta che funziona. Che fornisce quel “morale” nell’indefinibile accezione militare del termine. “Le persone di questo movimento, quando mi parlano, dicono di avere uno scopo. Una volta che hanno uno scopo, non si può fermare questo movimento. Non vinceremo tutto. Come in Europa, ci saranno sconfitte. Alcuni giorni saranno nuvolosi. Ma le montagne illuminate dal sole sono davanti a voi. Basta tenere la testa bassa e continuare a lavorare”. La certezza incrollabile di un futuro radioso.

Un futuro che potrebbe concretizzarsi presto, in caso di una (sempre più probabile) vittoria di Trump alle elezioni del prossimo novembre. Gruppi di lavoro appositi si stanno preparando “per concentrarsi immediatamente sull’immigrazione, sulle guerre perenni e sulla questione fiscale e finanziaria. E contemporaneamente la decostruzione dello Stato amministrativo e la distruzione completa e totale del Deep State”. Nel 2016, l’amministrazione Trump ha dovuto appoggiarsi ad “avanzi” repubblicani. Questa volta la storia sarebbe diversa. “Prendiamo tutti i contratti federali. Chiudiamoli tutti. Mettiamo i nostri uomini nei contratti. Sarà un’acquisizione ostile dell’apparato”. Nel realizzarsi della grande rivoluzione populista.

Il futuro populista nelle parole di Steve Bannon è più concreto che mai

L’intervista di Bannon è un manifesto del movimento populista negli Usa e non solo. Con toni messianici e riferimenti concreti, alternati a toni surreali, l’ideologo “Maga” delinea un inevitabile perfezionamento della rivoluzione da lui propagandata

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