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Nei corridoi del Pentagono non si parla d’altro: alcuni analisti d’intelligence del Centcom – il comando centrale Usa, che coordina le operazioni internazionali in Siria e Iraq -, avrebbero inviato all’ispettore generale del dipartimento della Difesa un reclamo scritto, appoggiato da 50 colleghi.

LA LETTERA DEGLI ANALISTI

Gli esperti – diceva ieri il Daily Beast – sostengono che i loro report, alcuni dei quali posti al vaglio di Barack Obama, siano stati cambiati da alcuni superiori prima di finire sulla scrivania presidenziale, dando l’idea che l’Isis fosse più debole di quanto non lo sia realmente. Un biasimo tutt’altro che di poco conto, che un ufficiale ascoltato dal magazine avrebbe descritto senza giri di parole “un cancro diffuso ai piani più alti del comando”.

L’INDAGINE INTERNA

Del caso aveva parlato già il 25 agosto scorso il New York Times, ripreso due giorni dopo sul Foglio da Daniele Raineri. Sul quotidiano fondato da Giuliano Ferrara, si raccontava che il Pentagono aveva aperto un’inchiesta interna a seguito delle lamentele, prendendo sul serio la faccenda. “Le differenze d’opinione tra analisti – scriveva Raineri – sono di solito incoraggiate quando è in gioco la sicurezza nazionale, in modo da avere idee in competizione e da evitare visioni stagnanti o a senso unico. Questa volta invece l’intervento degli ispettori e l’apertura dell’indagine segnalano che c’è il sospetto di una distorsione intenzionale”. Un “errore”, che voluto o no, mette in evidenza il media network israeliano Arutz Sheva, ricorda da vicino quello commesso nel 2003 dall’amministrazione Bush relativamente alle presunte armi di distruzione di masse nella mani del regime di Saddam Hussein (allora Obama era tra quelli che puntavano il dito contro l’establishment repubblicano).

LE POLEMICHE SUI RISULTATI

Per il momento non si ha notizia di reazioni ufficiali (forse in attesa che si concludano le verifiche interne), ma per la Casa Bianca e il Pentagono dall’onda lunga di questa storia potrebbero nascere problemi, viste alcune critiche, per ora minoritarie ma strumentalizzate dal Cremlino. Ad essere sotto accusa è il divario tra gli annunci sui risultati ottenuti – spesso considerati eccessivamente entusiastici dagli esperti – e la situazione sul campo mediorientale, dove si sono consumate anche sconfitte che bruciano, a Mosul, Falluja o Ramadi, per esempio, costringendo gli Stati Uniti a rivedere in parte la loro strategia nei teatri siriano e iracheno (qui alcuni numeri dell’operazione della coalizione internazionale anti Isis).

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