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Il 18 giugno la Guardia di Finanza ha sequestrato a Gioia Tauro un carico di armi provenienti dalla Cina e dirette in Libia, in Cirenaica, una zona dove il controllo territoriale è gestito in stile simil mafioso dal signore della guerra Khalifa Haftar e dalla sua famiglia. Haftar ha accordi con la Russia sin dal 2017, e questo rende la notizia — data da Federico Fubini per il CorSera il 24 giugno — molto interessante per le dinamiche strategiche del Mediterraneo allargato. Dieci giorni dopo, un’altra nave gemella è stata di nuovo intercettata dalle Fiamme Gialle, con l’Agenzia delle Dogane, nel proto calabrese, con “trama […] identica”, scrive ancora Fubini: all’interno altre armi cinesi, nello specifico droni da attacco Wing Loong 2.

Le due operazioni sono state condotte dall’Italia attraverso la condivisione di intelligence fornita dagli Stati Uniti, che non è noto da quanto tracciassero le due barche, partite dal porto di Yantian — scalo nella Greater Bay Area, usato come sbocco al mare della super tecnologa megalopoli Shenzen — e arrivate tra le acque italiane evitando le rotte indo-mediterranee destabilizzate dagli Houthi. Attenzione prima di andare avanti: le due navi, la Apolline e Arina, due supercargo della MSC, sono immuni dalle indagini, vittime di un imbroglio nella spedizione (i droni viaggiavano come competenti per turbine eoliche, per esempio) fatto per aggirare le risoluzioni Onu che vietano l’invio di armi in Libia — tanto che entrambe hanno proseguito le proprie attività appena dopo aver scaricato i container incriminati, che dalla Calabria avrebbero dovuto proseguire per i porti controllati dalla famiglia Haftar (Tobruk e Bengasi).

Probabilmente, l’operazione di sequestro è stata condotta in Italia — e non negli scali precedenti di Singapore e Spagna — per ragioni logistiche, sebbene abbia evidenti implicazioni politiche per Roma. Il governo Meloni continua a dare massima apertura a Haftar come “interlocutore”, incontrato dalla presidente del Consiglio il 7 maggio. Differentemente altri Paesi, Stati Uniti compresi, stanno evitando legittimazione di alto livello degli incontri che comunque continuano a tenere con il capo clan libico. Parlare con Haftar è infatti una necessità: sia di carattere tattico (controlla traffici nell’est libico che vanno dai migranti alla pesca) sia strategico. L’obiettivo è convincerlo che sganciandosi dalla Russia potrebbe avere ancora qualche forma di spazio recuperabile nel futuro del Paese — che è sempre più incerto, con le divisioni che lo caratterizzano da oltre un decennio ancora presenti e aspre.

“Le armi cinesi sono state affidate a Haftar, che non ha mandato di utilizzarle ma di custodirle per eventuali altri usi”, spiega Karim Mezran, direttore della North Africa Initiative dell’Atlantic Council, decano degli esperti di Libia a livello internazionale. “La Russia è tattica, reattiva, non ha al momento una strategia e non certamente quella di prendersi Tripoli con la forza, perché avrebbero eccessivi problemi, a cominciare da una reazione dei turchi. Le armi sono per l’Afrika Corp e per i suoi eventuali impieghi”, commenta con Formiche.net.

Da tempo su queste colonne si parla di come Mosca abbia ormai strutturato la presenza libica come centro logistico e direzionale delle attività a cavallo tra Mediterraneo e Africa Era febbraio quando si segnalava l’invio in Libia di armamenti russi — anche via Tartus, sulla costa siriana. Haftar è la sponda perfetta per certe attività, perché pur dialogando con l’Occidente è abbastanza controllabile da Mosca — che tra l’altro sta trattando per trasformare Tobruk in un proprio scalo militare. Non a caso, il Pentagono è tornato a rendere esplicito il proprio interessamento al Paese.

Secondo alcune fonti militari, la Russia ha una capacità di proiettare in Libia e dalla Libia qualcosa come diecimila uomini – che si troverebbero a poche dozzine di chilometri in linea d’aria da Sigonella e dalle altri basi strategiche Usa/Nato in Sicilia e a Creta. “È possibile che, dato quanto è ormai strutturato l’hub russo-libico, la Cirenaica sia una piattaforma logistica per altre attività africane di Mosca. Per esempio nel Sahel, o in Sudan a supporto delle fazioni amiche, o in Repubblica Centrafricana”, aggiunge Mezran.

In questo schema, i cinesi sono soltanto fornitori? Hanno prodotto e venduto quei droni, poi la Russia si è occupata del resto? “In Libia, la Cina ha un interesse pragmatico: hanno capacità per investire e puntano alle infrastrutture (ottica BRI, ndr), ma non si fidano del contesto securitario”, spiega Mezran, secondo cui per ora Pechino non ha con Mosca un rapporto di fiducia tale da potersi affidare per un maggiore impegno libico. “Se però si dovessero fonde le capacità di investimento cinesi e quelle di hard power russo, allora sarebbe problematico. Perché potrebbero creare leve di influenza forti per prendersi anche la Libia occidentale, e successivamente la Tunisia, o l’Algeria, creando un fronte su tutto il Nordafrica e oltre: ne siamo consapevoli? Come intendiamo muoverci?”.

Droni cinesi in Libia? Occhio alla Russia. Il monito di Mezran

Haftar ha mandato di conservare le armi che la Russia gli sta mandando per impieghi successivi, e da valutare, dell’Afrika Corp. Per ora la Cina ha un interesse pragmatico, ma se Mosca e Pechino fondono iniziative e obiettivi il problema diventa enorme, spiega a Formiche.net Karim Mezran, direttore della North Africa Initiative dell’Atlantic Council

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