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Partito di Renzi, Partito della Nazione o rifondazione del PD? Ad una settimana dallo “scossone” elettorale (eravamo stati profeti nel definire le lezioni regionali “scomode per tutti”) l’attenzione degli analisti politici sembra soffermarsi su questo dilemma. Eppure la battuta di arresto (un sostanziale pareggio) registrata dal PD sembra essere figlia -illegittima- di quel 41% che fece sobbalzare tanti a sinistra.

Non tanto per le mai composte difficoltà interne o lo sfibrante (questa sembra essere la tattica dei detrattori del Premier: “cucinarlo” a fuoco lento) clima da resa dei conti, quanto piuttosto la brusca interruzione di quella ventata di novità e di freschezza che Renzi aveva saputo rappresentare soprattutto e prima di tutto all’esterno del PD.

Ecco perché l’ex Sindaco (ed il suo PD) non ha nuovamente sfondato nel corpaccione dell’elettorato (quello che un tempo si sarebbe chiamato ceto medio; stragrande maggioranza del Paese) che più di tutti ha sopportato le dure conseguenze della crisi economica e che chiede a gran voce una vera “rottamazione” (che -nei fatti- non c’è stata!) dentro e fuori il Palazzo per ridare slancio ad un Paese “smarrito” ed “impaurito”.

È proprio per il deficit di rottamazione che l’avanzata populistica antisistema di Grillo e Salvini ha ripreso slancio.

Eppure nessuno, al momento, è forte come Renzi. Tutti, a partire proprio dai due urlatori, lo sanno bene. Ma neppure un Premiere tanto popolare può permettersi battute d’arresto. O, peggio ancora, inversioni di “verso”.

Gli ottanta euro funzionarono perché erano un segnale. Trasformarli in un fatto -solo per alcuni- si sta rivelando un passo falso. Come l’inapplicata spending review o l’abortito taglio delle municipalizzate oppure, ancora, la parziale abolizione delle Province e del Senato. Ed in ultimo, la poco meditata (bastava maggior cura per apportare quei banali correttivi che avrebbero tolto alibi a qualsiasi strumentale protesta) ma sostanzialmente apprezzata riforma della scuola.

Incertezze che si pagano nelle urne, nel partito e nel Paese.

Di certo al Nazareno il messaggio è risuonato chiaro e forte, anche se non sarà facile riprendere la strada dismessa. La rottamazione sembra irrimediabilmente archiviata da mesi di pastoie burocratiche e, vischiose, alchimie politiche. Ed una fase due (anche per un Governo che non ha alternative) sarebbe la prova provata dell’impotenza.

Serve un colpo di reni: pochi fatti ma -finalmente- chiari, incisivi e veri. Gli annunci hanno fatto il loro tempo come l’ambizione alla velocità.

Non serve fare tutto. Serve fare bene! La legge di stabilità è alle porte; ora è il momento di scrivere il futuro.

La rottamazione dismessa: ecco il “peccato” di Renzi

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