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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Edoardo Narduzzi apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Se vuoi capire davvero perché per imboccare un sentiero di crescita del 3% all’anno servono le riforme vere e non i compromessi, allora tuffarsi per due giorni nel ciclo dell’economia spagnola è molto formativo. Sono stato quarantotto ore a contatto con il business madrileno, con l’attività economica sul campo della Spagna, quella che ha registrato un pil in crescita dello 0,9% nel primo trimestre 2015 – Pil già rivisto al rialzo per l’intero anno al 2,9% dal governo e al 2,8% dalla banca centrale – e chiara come l’immagine della Madonna in una tempera del Botticelli mi è apparsa la differenza tra l’Italia e la Spagna. Roma nel 2015, dopo quasi un lustro di prolungato ciclo negativo, crescerà solo dello 0,6%, Madrid quasi cinque volte di più. Non del 10 o del 20% di più, cinque volte di più. Un gap che resterà enorme anche nel 2016: +1,4% di crescita per l’Italia contro un ulteriore 2,9% della Spagna.

Insomma le slide, i tweet, le idee restate nei programmi delle primarie del Pd e mai diventate riforme strutturali non producono alcuna primavera economica. Del resto il confronto tra Italia e Spagna, da questa prospettiva, è impietoso. Perfino un agonizzante primo ministro a fine mandato, come Jose Luis Zapatero, è riuscito ad abolire la gabella “diritti camerali” per le imprese spagnole, mentre Renzi, che aveva promesso l’abolizione della camere di commercio durante le primarie, salito al governo è stato “toreato” dalle lobby che vivono di tasse altrui e le camere di commercio sono sopravvissute alla rottamazione annunciata e la riforma si è trasformata in una taglio del 35% dei diritti camerali. A Madrid, insomma, rottamazione totale.

In Italia, invece, compromesso al ribasso e magari tra qualche anno i diritti camerali aumenteranno ancora. Così le aspettative degli operatori non possono non registrare lo iato che c’è in Italia tra gli annunci e la realtà. Stessa cosa sulla riforma del mercato del lavoro, questa volta fatta da Mariano Rajoy, totale e generalizzata in Spagna, riservata ai soli neoassunti in Italia. Ma è sul piano culturale che il gap tra Roma e Madrid esce molto amplificato alla fine della peggiore recessione del secondo dopoguerra. La crisi è servita agli iberici per voltare pagina. “Ormai ci comportiamo come negli Usa, quando il ciclo tira assumiamo quando arriva la crisi ristrutturiamo rapidamente. Siamo molto flessibili in tutto”, ti ripetono praticamente in coro tutti: imprenditori, professionisti e uomini di finanza. Già, la flessibilità nel poter ristrutturare le organizzazioni produttive per far ripartire la produttività. Proprio quella che manca in Italia, dove in piena recessione, non importa quanto lunga, le imprese possono solo utilizzare vecchi attrezzi come la mobilità o la cassa integrazione. Così l’organizzazione non si trasforma e la produttività non riparte. Madrid non ha sprecato la recessione, Roma pare proprio di sì.

Riforme, la lezione di Madrid

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