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Renato Zangheri è stato sindaco di Bologna per 13 anni. Nel 1970 subentrò a Guido Fanti (anche lui recentemente scomparso) divenuto primo presidente della Regione Emilia Romagna.

Se Fanti proveniva da un’esperienza di partito (era stato il segretario della Federazione del Pci bolognese protagonista della svolta che aveva liquidato il gruppo dirigente stalinista al potere nell’immediato dopoguerra), Zangheri, professore universitario, storico, fine intellettuale era la prova provata della capacità di egemonia ‘’gramsciana’’del partito nel  ‘’dialogare’’ e valorizzare gli intellettuali che in quei tempi venivano definiti ‘’organici’’.

Nel ruolo di sindaco (lo fu fino al 1983) Renato Zangheri impersonò l’immagine della città-vetrina, per tanto tempo conosciuta ed apprezzata nel mondo come la più importante comunità occidentale governata da un partito comunista, già allora molto simile, come pragmatismo e qualità amministrativa, alle grandi socialdemocrazie europee.

La Bologna di Renato Zangheri (il Pci con la tradizionale lista Due Torri aveva ricucito l’alleanza con i socialisti) fu sicuramente un elemento determinante della grande avanzata delle liste di sinistra nelle più importanti città italiane, del Nord come del Sud, che si verificò intorno alla metà degli anni ’70.

Fu un’epoca di fasti (e di nefasti): a Bologna si viaggiava gratis sugli autobus; vi fu un forte sviluppo di servizi sociali pressochè gratuiti anch’essi. Le Estati bolognesi competevano per qualità e stanziamenti con quelle che, seguendo l’esempio di Roma, si erano diffuse in tutta Italia, persino nei più piccoli comuni.

Zangherì, in un caldo sera d’agosto, portò Carmelo Bene a recitare Dante da una finestra illuminata a metà della Torre Asinelli. E si prese una citazione in una canzona scritta apposta da Dino Sarti, il cantante dialettale che Zangheri invitava ad esibirsi in Piazza Maggiore la sera del 14 agosto.

Dopo gli anni ‘’facili’’, quando tutto sembrava possibile, vennero i tempi difficili. Dapprima le contestazioni del 1977 in occasione delle quali, in uno scontro con le forze dell’ordine, trovò la morte lo studente universitario Francesco Lorusso. Ne seguirono atti di violenza (le vetrine dei negozi del centro vennero sfasciate durante le manifestazioni di protesta) che turbarono profondamente l’opinione pubblica.

Zangheri non esitò a chiedere alla Polizia di compiere il suo dovere. Quegli eventi provocarono una frattura nel variegato universo della sinistra che non si è mai più ricomposta, anche se in tempi recenti i vertici del partito hanno fatto delle autocritiche discutibili sulla linea di condotta intransigente tenuta nel 1977.

E’ appena il caso di ricordare che nell’autunno di quell’anno Bologna divenne il teatro di una grande manifestazione internazionale contro la repressione. La città seppe reagire con dignità, tanto che non si verificarono gli incidenti temuti. Poi vennero i dolorosi appuntamenti con lo stragismo eversivo che prese di mira la città delle Due Torri.

La strage del treno Italicus, poi  la bomba alla stazione di Bologna il 2 agosto del 1980, quando il Sindaco Zangheri nel suo discorso commemorativo si rivolse alle famiglie delle vittime chiedendo loro scusa se le sue parole non ‘’erano di commozione, ma di lotta’’. Conclusa l’esperienza da primo cittadino Zangheri approdò a Roma in una posizione di indubbio prestigio, come presidente del gruppo comunista alla Camera.

Ma anche nel caso di questo raffinato intellettuale valse la regola dei comunisti bolognesi a cui era impedito, nei fatti,  di accedere a posizioni di effettivo potere nel partito a livello nazionale. Zangheri torno’ ai suoi studi.

Poi, poco alla volta si rifugiò nel silenzio in attesa del ‘’Grande Sonno’’.

Vi racconto Renato Zangheri

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