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Tensioni nel credito cooperativo, che vive la sua estate più calda. L’ormai arcinota autoriforma chiesta mesi fa dal Governo rischia infatti di dare vita a uno scontro tra le due anime del credito cooperativo. Quella del Nord Est, dove un centinaio banche hanno appena costituito la propria holding, Cassa Centrale, lanciando la sfida alla Federcasse di Alessandro Azzi, che al contrario caldeggia una holding unica con dentro tutte le 379 banche del sistema. Uno scontro di cui ha parlato solo pochi giorni fa proprio formiche.net e che negli ultimi giorni ha subito un’accelerazione improvvisa. Trasformando il credito cooperativo in una polveriera.

Ad accendere la miccia, la presentazione mercoledì scorso alla Borsa di Milano della Cassa Centrale Banca del Credito Cooperativo Italiano, giusto per dichiarare le proprie ambizioni e la geografia del mercato, il soggetto aggregatore da 1 miliardo di patrimonio targato Veneto e Friuli, pensato per riunire gli istituti veneti, trentini e friulani sotto un unico cappello. Una mossa che per i promotori dell’iniziativa “non rappresenta una provocazione”, anzi, una mano tesa alla Federcasse.

Peccato però che la holding in questione abbia visto la luce a una manciata di giorni dalle dure parole del presidente di Federcasse, Azzi, che neanche a farlo apposta aveva messo in guardia gli istituti dai rischi  di una “balcanizzazione” del sistema. Parole, per ora, al vento visti gli sviluppi della faccenda. Anche perchè il messaggio di Cassa Centrale a Federcasse appare abbastanza chiaro: collaborazione alla riforma se si accetta il progetto holding Nord Est oppure piena autonomia in caso di rifiuto.

La reazione di Federcasse, che ha deciso di mostrare i muscoli pur mantenendo un atteggiamento comuque istituzionale, non si è fatta attendere. In una prima nota, giunta a poche ore dalla presentazione di Milano, la federazione rispondeva sottolineando che “la presenza di più gruppi bancari cooperativi porta intuitivamente a una frammentazione che indebolisce tutto il sistema, ad affievolire la propria capacità di stare sul mercato, a una nefasta concorrenza interna e al rischio di escludere una parte delle Bcc”. Della serie, uniti si vince, se invece si va in ordine sparso, addio sogni di gloria di una vera riforma del credito cooperativo.

Passate 24 ore, da Federcasse arrivava il secondo affondo, in concomitanza con un comitato esecutivo della federazione convocato in tutta fretta (chissà perchè?) e che definiva l’iniziativa del Nord Est “prematura rispetto all’attuale fase di elaborazione della riforma, in contrasto con l’impegno unitario assunto all’unanimità e incompleta dal momento che non offre soluzioni sistemiche, valide per tutte le Bcc, ma solo parziali e per una parte di esse”. Una stroncatura bella e buona che ha il sapore di una prova muscolare.

Il comitato esecutivo di Federcasse, ribadiva infine infine ribadito come la missione di Federcasse, in modo particolare in questa fase l’intenzione di contribuire alla riforma “nel solo assetto possibile e sostenibile, vale a dire quello dell’unità, pur con le indispensabili razionalizzazioni e le migliori condizioni di contesto regolamentare per lo sviluppo delle attivita’ delle Bcc e di tutto il credito cooperativo italiano”.

E adesso? Che succede? I rischio stallo è molto concreto. Tra un mese o poco più dovrebbe arrivare l’agognato decreto del Governo in cui incastonare la riforma. Ma il rischio che un testo condiviso non sia pronto per quella data è altro. A Federcasse, d’altronde, rimangono fermi della loro idea. Serve un’unica centrale con un patrimonio miliardario (si pensa a Iccrea) dove riunire il grosso degli istituti, senza fronde e frondine. Un botta e risposta non porterà a nulla, è ovvio. Il rischio, quello vero, è che il Governo prenda in mano la situazione sulla falsariga di quanto fatto con le popolari.

Bcc, cosa sta succedendo davvero in Federcasse

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