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Iper-tecnologizzati, connessi e interconnessi, sembriamo dimenticare l’importanza strategica dell’ “elemento umano”. E lo dimentichiamo in termini di “natura” delle realtà (i processi storici non potranno fare mai a meno della persona umana) e di approccio ai problemi e alle sfide cui la realtà ci pone di fronte; per questo, si può dire che ci siamo talmente sviluppati da essere tornati alla preistoria della condizione umana.

L’ “elemento umano” vive nella profondità del nostro sguardo sulla vita e nel nostro talento di viverla pienamente. Urge reimmergerci in questa profondità, superando una superficialità dilagante e dominante che vorrebbe renderci strumenti di un pensiero lineare che, di fronte a problemi complessi, genera mostri. L’ “elemento umano”, contraddittorio e incerto, vive nella “globalità” del nostro spazio e nella “tempiternità” del nostro tempo.

Nessuna innovazione di quella che chiamiamo “società digitale” può e potrà cancellare la centralità dell’ “elemento umano”. Non si può, infatti, tecnologizzare o modellizzare il mondo-della-vita; occorre calarci in esso con una responsabilità personale al tempo stesso piena e relativa. E’ così che renderemo ogni spazio della nostra vita uno spazio globale; dobbiamo reincarnare una responsabilità che tenga conto dell’altro come “altro DI noi”, in un contesto nel quale la mia libertà comincia dove comincia quella dell’altro. Lo spazio globale è spazio dell’integrazione e del dialogo, è costruzione progressiva e mai definitiva di un orizzonte comune di senso per l’intera ed unica umanità. E’ così, ancora, che restituiremo al tempo della nostra vita la dimensione tempiterna; dobbiamo riposizionare il nostro intelletto sulla complessità dell’esperienza umana e ri-comprenderla in noi, integrazione continua fra ciò che siamo stati, ciò che siamo nell’immanenza e ciò a cui aspiriamo. Questa dimensione temporale non è mai separata in noi; è la nostra “ragione lineare”, invece, che non ci fa vivere il tempo della totalità e della/nella globalità ma che ci fa esistere come dei disadattati (precari) che si credono certi della propria onnipotenza nel piccolo spazio delle proprie conoscenze particolari e nel piccolo tempo di un presente che si rincorre e che si auto-alimenta di fragilissime illusioni.

L’ “elemento umano” ci dice anche che non tutto di noi si può spiegare e che la nostra ragione è limitata rispetto a ciò che siamo profondamente. E’ venuto il tempo, allora, di maturare in noi una ragione aperta e dialogante e di cominciare, insieme, a porre le basi di un “giudizio storico” sulla realtà in continuo cambiamento. Non ci basta più dire di essere umani, occorre riappropriarci della nostra “complessità necessaria”.

 

 

 

L'elemento umano

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