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La chiusura dell’accordo sul nucleare iraniano non avrà solo effetti geopolitici. Con la caduta delle sanzioni economiche, la Repubblica islamica  – numero quattro al mondo per riserve di greggio e numero due per quelle di gas – tornerà ad essere un attore importante del settore energetico.

Cosa succederà col ritorno di Teheran sui mercati petroliferi e gasieri? E quali effetti avrà questo cambiamento sui prezzi e sugli equilibri dell’Opec?

Sono alcuni degli aspetti analizzati in una conversazione di Formiche.net con Matteo Verda, ricercatore dell’Università di Pavia e dell’Ispi, e autore del blog Sicurezza Energetica e del libro “Una politica a tutto gas”.

Quanto ci vorrà per il rientro dell’Iran nel mercato petrolifero?

Se tutto andasse come previsto, i primi volumi veri li vedremo a gennaio dell’anno prossimo. Questo perché lo sblocco vero delle attività è previsto dopo il 15 dicembre. Dopo i primi due trimestri del 2016 si potrà fare un primo bilancio. Le stime oscillano tra i 500mila e 1 milione di barili nel 2016, ma è plausibile che si attestino sugli 800mila le più plausibili.

Da cosa dipenderà?

In primo luogo dal tempo che servirà per rendere di nuovo efficienti molti pozzi, che ora non sono in buone condizioni dopo il lungo stop.

L’Iran rivedrà le formule contrattuali, come gli chiedono le big oil?

Probabile, ma ci vorrà un po’ di tempo. ma Gli effetti sulla produzione difficilmente si vedranno prima non prima di 5 anni minimo. I nuovi contratti andranno infatti a regolare i rapporti per i nuovi giacimenti, non per quelli già operativi.

Chi ci guadagna dalla presenza sul mercato del petrolio iraniano?

A guadagnarci sono senz’altro tutti i Paesi importatori di petrolio, perché aumenta l’offerta e la possibilità di diversificare e ciò rende il mercato più competitivo, conveniente e sicuro. In particolare a beneficiarne sarà l’Unione europea, primo importatore di petrolio al mondo. Ma a guadagnare saranno anche tutte le imprese che investono nel settore in Iran, quindi tendenzialmente più quelle europee che quelle degli Usa.

E chi ci perde?

Ci perdono in primo luogo gli altri produttori di petrolio, come ad esempio l’Iraq, che fino a a pochi anni fa era visto come il Paese mediorientale dove investire per petrolio a basso costo. Ma l’innalzamento della pericolosità generale del Paese, la sua instabilità potrebbero spingere gli investitori a puntare su Teheran. Anche la Russia ci perde, ma in misura simile agli altri. Forse è la Cina il vero perdente nascosto della vicenda, perché fino a questo anno ha comprato petrolio su base bilaterale dall’Iran a prezzi più bassi di quelli di mercato, pagandolo in parte in yuan e di fatto costringendo di fatto gli iraniani a riacquistare merci cinesi. Ora tutto ciò non sarà più possibile.

Il petrolio iraniano innescherà una guerra dei prezzi nell’Opec?

Non credo, almeno a breve. Per un po’ non converrà a nessuno far saltare gli equilibri, che in verità sono già molto precari. La debolezza saudita continuerà ad accentuarsi, ma se saltasse in aria l’Opec, dopo di lei non ci sarebbe niente. E penso che tutti i produttori convengano nel ritenere che una competizione più selvaggia di quella che già c’è sia senza dubbio più dannosa dell’Opec attuale.

Alcuni analisti ritengono che sauditi e iraniani possano anzi collaborare per affossare definitivamente lo shale oil Usa, già messo a dura prova dalla politica dei prezzi bassi messi in atto dall’Opec.

Ritengo improbabile una strategia concordata. Certo, l’effetto combinato dei sauditi che aumentano la produzione per dimostrare al mondo di guidare il settore e dell’Iran che torna sul mercato potrebbero abbassare ancora di più i prezzi, mettendo in difficoltà i produttori di non convenzionaleshale, che già soffrono difficoltà finanziarie dettate dai maggior costi di estrazione. Ma è tutto da vedere, anche perché i mercati di riferimento dei due prodotti i produttori di non convenzionale non tutti uguali esono differenti e anche lo scenario potrebbe non essere sempre così stabile.

Cosa potrebbe cambiare, invece, da un rientro di Teheran nel mercato del gas? L’Iran, oltre ad essere il numero quattro al mondo per riserve di greggio è anche il numero due al mondo per riserve di gas naturale, dopo la Russia.

Questa è una prospettiva di più lungo periodo. Il petrolio è relativamente facile da esportare, mentre per il gas occorre investire infrastrutture costose. Questo senza considerare che per l’Iran il gas vuol dire soprattutto domanda interna: basti pensare che l’anno scorso l’Iran ha consumato tanto gas quanto Italia, Germania e Francia messe insieme. Certo, contendendo alla Russia il primato delle più grandi riserve al mondo, sembra inevitabile che in futuro l’Iran inizi ad esportare. Gli investitori potrebbero scegliere se competere sul mercato del gas naturale liquefatto, come il vicino Qatar. Oppure esportare via tubo, verso la Turchia (dove già esporta) o verso il Pakistan e l’India. In ogni caso, si tratta di qualcosa che vedremo nel prossimo decennio.

sanzioni, iran

Tutti gli effetti su petrolio e gas dell'accordo Usa-Iran. L'analisi di Matteo Verda

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