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È tornato nella sede “storica” dove è nato (il cortile dell’Archivescovato) un allestimento da considerare anche esso “storico”: il “Sogno di una Notte di Mezza Estate”, messo in scena nel lontano 1991 da Robert Carsen al Festival di Aix en Provence. Da allora è stato visto in vari teatri- ogni volta Carsen lo ha ritoccato. In Italia approdò anni fa al Ravenna Festival, il palcoscenico del cui Teatro Alighieri non è molto differente da quello di Aix, ed anche a Ferrara Musica. Si sarebbe dovuto vedere, circa dieci anni fa, a Roma, al Teatro Argentina. Ragioni di costo imposero di sostituirlo con una produzione “low cost” ma efficace al Nazionale. Giunse nel 2009 alla Scala mentre a Roma, nel 2012, per ricordare la nascita del compositore venne presentata una nuova produzione dello scozzese Paul Curan.

Con Richard Strauss e Leos Janaceck,Benjamin Brittenè uno dei tre maggiori grandi autori del teatro in musica del “Novecento storico”. Poco eseguito in Italia per anni (la sola eccezione è Roma grazie principalmente ai programmi di musica contemporanea dell’orchestra della Rai), in questi ultimi due lustri c’è stata una ripresa dell’interesse e dei teatri e – quel che più conta- del pubblico. “The turn of the screw” è stato visto a Torino, a Roma ed a Cagliari nella seconda metà degli Anni Novanta; “Peter Grimes” a Roma, Firenze, Milano, Reggio Emilia ed Ferrara; “Billy Budd” a Venezia, Torino e Genova; “A Death in Venice” e “The Rape of Lucretia” a Genova, Firenze, Ferrara, Reggio Emilia e Trieste; “A Mid-summer Night’s Dream” a Roma, Napoli e nel circuito toscano di Città Lirica; “Albert Herring” nel circuito emiliano ed a Cosenza; gli apologhi sacri sono stati messi in scena a Spoleto; il “Saint Nicholas” a Bari e Montepulciano; “The little sweep” a Palermo, oltre che a Rovigo e Modena. Per il trentennale della morte, nel 2006, Parma ha organizzato un mini-festival.

L’elenco (a memoria) non è esaustivo ma indicativo del successo del teatro in musica di Britten. Si sono anche avute varie esecuzioni del “War requiem”, di sinfonica e di cameristica in varie città. Il pubblico non è mai mancato; gli “esauriti” sono la prova più concreta dell’apprezzamento. D’altro canto, basta pensare che la sua ultima opera, “A Death in Venice”, aveva avuto nel solo 1973 ben 15 differenti allestimenti (tra cui Aldenburgh dove Britten risiedeva, Venezia, Edimburgo, Bruxelles e Londra) e l’anno seguente era approdata con enorme successo al Metropolitan di New York.

Il suo stile musicale eclettico non rifiuta mai la scrittura tonale ed è accattivante anche per chi non ha dimestichezza con le convenzioni della musica del Novecento: pur continuando nella grande tradizione britannica iniziata con Purcell, fa propria (nel teatro in musica) la tecnica di Berg di adottare la forma di un tema su cui costruire ciascuna scena inserendo molteplici variazioni, ed intercalando le varie scene con intermezzi indipendenti che servano da elementi di unificazione musicale e drammatica. Altro aspetto fondante è la capacità di ottenere il massimo colore e calore orchestrale con il minimo di organico (unicamente 13 elementi ad esempio in “The turn of the screw” ed una versione ad organico ridotto per “Billy Budd” pur concepito, inizialmente, come un grand opéra). Grande attenzione, poi, alle voci. Pur nel rispetto delle convenzioni, riscopre il controtenore e lo accompagna (proprio in “A Mid-Summer””) in duetti estatici con un soprano di coloratura. Oppure , in “Billy Budd” utilizza 17 voci maschili (5 tenori, 8 baritoni, un baritono basso e 3 bassi) e nessuna voce femminile, affidando la vocalità chiara ad un quartetto di adolescenti e dieci fanciulli che non cantano ma chiacchierano sullo sfondo. In “The turn of the screw”, invece, le voci sono quasi esclusivamente femminili (tre soprani e due voci bianche) con cui contrasta un baritenore. Naturalmente il metodo di organizzazione cambia quando si tratta di musica concepita per essere eseguita in chiesa (Britten era cattolico praticante) in cui il pubblico viene considerato non in veste di spettatore ma di compartecipe all’azione liturgica; quindi, alcune parti erano pensate perché eseguite dall’intera congregazione.

“A Mid-Summer” è uno dei lavori più affascinanti di Britten. Viene utilizzato (opportunamente ridotto dallo stesso Britten e dal suo compagno di vita, il tenore Peter Pears), il testo di Shakespeare, eliminando scene e ruoli secondari (e quindi parti del “play” la cui versione musicale avrebbe avuto una durata spropositata)ed accentuando la differenza tra la città (Atene, dove regnano regole formalmente eque ma sostanzialmente ingiuste) e la foresta (dove regna la natura, trovano rifugio i giovani amanti, la regina delle Fate Titania riconquista il re delle fate Oberon, e i villici diventano poeti. L’opera è stata concepita in un periodo in cui Britten intendeva salvare il teatro in musica britannico , riducendone i costi (e, quindi, gli organici), impiegando voci giovani e costituendo compagnie che potessero viaggiare da città a città. La Jubilee Hall di Aldenburgh, la cittadina dove Britten e Pears risiedevano, venne appositamente ampliata per l’occasione: conteneva, però, 316 spettatori (non i 1800 circa de La Scala e del Teatro dell’Opera di Roma), un piccolo golfo mistico (per un organico quasi cameristico) ed i 18 solisti erano in gran misura giovani. Ebbe un successo enorme, nonostante fosse un lavoro “scomodo”: ironizzava sia sulla “buona società” britannica dell’epoca sia sulla storia della musica del Regno Unito, con richiami e citazioni vagamente messe alla berlina.

Anche la regia di Carsen, che punta sul mistero e sulla sensualità della foresta ed accentua i registri vocali “non terreni” (Oberon è un controtenore; Titania, un soprano di coloratura) è concepita per un palcoscenico di dimensioni relativamente piccole quale quello del “cortile storico” di Aix en Provence dove è nata nel 1991 e dove torna (ritoccata) in coproduzione con l’Opéra di Lione ed altri teatri..

Carsen e Micheal Levine (lo scenografico) utilizzano in modo geniale la scena, non grandissima, del teatro di Aix: nel primo atto e nel primo quadro del secondo siamo su un “green” come solo in Gran Bretagna si può immaginare, dominato da letti (due enormi nella prima sei, sei a due piazze nella seconda e tre che discendo dal cielo nella terza). Carsen fa enfasi sull’eros (da quello giovane e quello maturo come elemento centrale dello spettacolo); nell’ultimo quadro, letti e “green” spariscono per dare il posto ad un’Atene algida dove, ormai ricomposte le tre coppie, si passa all’ironico “teatro nel teatro” dei villici. Complessivamente, il “blow up” (ingrandimento) funziona bene e per oltre tre ore il pubblico si diverte. Curatissimi “physique du rôle” e recitazione (anzi i solisti devono anche ballare oltre che recitare e cantare).

In questa ripresa di lusso, concerta Kazushi Ono con grande perizia; una direzione che pone l’accento sulle sfumature e sui passaggi psicologici da una situazione ad un’altra. Magnifici Sandrine Plau e Lawrence Zazzo (Tatiana ed Oberon, coppia adulta alla ricerca di nuove emozioni). Molto brave le due coppie giovani piene di eros vitale e scoppiettante: Rupert Charlesworth, Elisabeth DeShong,, John Chest, Layla Claire. Ottimo l’atletico Puk di Mylton Yeroloumou. Di livello il gruppo di ‘villlici’ guidato da Brindley Sherratt. Squisito il Trinity Boys College che da voce alle fate al servizio di Tatiana.

Tra le altre opere del Festival (che dura sino al 21 luglio e il cui tema unificante è l’amore coniugale), “Alcina” di Haendel, “Il Ratto dal Serraglio” di Mozart, “Iolanta” di Tchiakovsky accopiata con “Perséphone” di Stravinskji, “Svadba” di Sokolović, “Le Monstre du Labyrinthe” di Dove, “Be with Me’di Kranabetter e Fisera”.

 

Il ritorno a Aix en Provence del "Sogno di una notte di mezza estate"

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