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In Europa con i soldi degli altri perché i propri sono finiti. È questo l’esito paradossale (se tragico lo dirà la storia) della vittoria del No al referendum greco, esito schiacciante che va al di là di ogni rosea previsione del premier Tsipras. Ora però si entra nella terra ancora incognita dell’euro e per tre motivi.

I mercati innanzitutto fiuteranno odore d’affari e – chiuse ancora banche e borsa elleniche – proveranno a fare qualche realizzo con la volatilità che contraddistingue queste settimane, in attesa di capire se la Banca centrale europea forzerà i suoi regolamenti regalando già da oggi altra liquidità d’emergenza agli istituti della penisola.

Sulla carta è vietato finanziare il debito dei paesi senza un accordo politico, nella pratica spetterà ancora a Mario Draghi decidere le sorti dell’Unione, mentre il duo Merkollande farà finta di decidere le sorti del mondo non sapendo che pesci prendere. Il brutto però è che né i Trattati né lo stesso statuto della Bce prevedono procedure per permettere ad un membro dell’eurozona di uscire dalla moneta unica.

L’esatta situazione in cui si trova da oggi la Grecia: senza risorse per le sue banche, senza accordo sul Piano di salvataggio proposto da Bruxelles, senza una valida alternativa monetaria, dracma o nuova valuta che sia, immediatamente spendibile, senza soldi per fronteggiare un default nei confronti del FMI che dal prossimo 20 luglio diverrà pressoché automatico.

Il secondo motivo che pone molti interrogativi sul futuro dell’Unione, mentre i talk show nelle redivive televisioni elleniche impazzano, è politico: se è possibile stare nell’euro pur in bancarotta e farsi le riforme da soli, chi sarà il primo paese a provare ad indire un simile referendum? La Francia di Marine Le Pen, l’Italia di Beppe Grillo, la Gran Bretagna di Cameron? Difficile dirlo, ma da domenica questa possibilità non può non essere presa in considerazione, dalla burocrazia comunitaria come dagli uomini della grande speculazione.

Il terzo paradosso che emerge dalla patria di Pericle è legato al futuro stesso dell’Ue.
Checché ne dicano Angela Merkel col suo fedele scudiero Jean Claude Juncker, nove milioni di greci, con tutte le loro manchevolezze (e ce ne sono, sopratutto sul fronte della lotta all’evasione e del tetto all’età pensionabile) hanno dimostrato che l’Ue così come e’ non ha futuro.

Senza una grande conferenza sui debiti di tutti i 19 aderenti all’euro (perché tutti gli stati dal 2008 si sono indebitati di più, Germania compresa) che ponga le basi per una condivisione dell’esposizione debitoria di ciascuna delle capitali, l’Ue non ha possibilità di uscire dal cul de sac in cui si è cacciata perché siamo solo una confederazione di paesi e non una federazione con una moneta, un tesoro e un esercito comune. L’esperienza americana si vede che ancora non ha insegnato nulla ai burocrati comunitari.

All’Unione monetaria manca ancora oggi una unione politica e la prova è il balletto che ha preceduto la consultazione di oggi in Grecia e che forse è destinato a proseguire fin quando non interverrà Obama. Se siamo arrivati a questo punto e’ per gli errori del passato. Di tutti. Dei tedeschi, che hanno perso troppo tempo nel 2010 prima di dare il via agli aiuti (ne servivano solo 40 di miliardi ora il debito ellenico è a quota 350 miliardi ed è impensabile a detta dello stesso FMI che lo ripaghino), delle istituzioni comunitarie, del tutto assenti nei momenti clou, e ovviamente di Atene, che ha pensato di mungere dalla mammella dei vari fondi salva stati e della Bce all’infinito senza fare riforme vere e combattere l’evasione.

La Repubblica ellenica che esce dal voto resta comunque una mela spaccata a metà: chi ha un lavoro, dei risparmi, anche una pensione, avrebbe preferito restare nella moneta unica e forte. Chi non ha nulla o è disoccupato, ed è la maggioranza nel paese, ha votato No per fierezza e disperazione insieme. Oggi festeggia ma di fatto non ha futuro. I tedeschi, già presenti in massa nelle isole, si comportano come se nulla fosse. Tranquilli e rilassati, nonostante il meltemi, ripiegano Die Zeit che aveva in prima pagina un appello ironico, anche in lingua greca, dal titolo ”Grecia resta con noi”. Per ora il governo Tsipras ha accontentato il settimanale, annunciando fedeltà alla moneta europea e facendo dimettere il falco ministro delle Finanze Varoufakis, ma la sua sarà però una vittoria di Pirro senza l’ossigeno di Draghi e un nuovo accordo immediato con Ue, FMI e Bce.

Per oggi va così: la Grecia è un puntino reperibile sul mappamondo della geopolitica, l’Europa invece è ancora solo un’espressione geografica. Del domani non vi è assoluta certezza.

Ecco cosa non capiscono Merkel e Juncker

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