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Con grande puntualità, ad un anno esatto dalla morte, la casa editrice Zecchini ha inviato nelle librerie (specialmente in quelle che trattano di musica) il volume Claudio Abbado Le Opere e i giorni di Alessandro Zignani. Non – occorre chiarirlo subito – il consueto libro celebrativo su carta patinata e denso di fotografie. E’ un lavoro scientifico di livello come ci si poteva aspettare da Zignani, professore di ruolo in un importante conservatorio, ed autore, oltre che di un’importante storia della musica, di libri fondamentali su Gustav Mahler, su Carlos Kleiber, su Herbert von Karajan e su Carlo Maria Giulini (per non citarne che alcuni). Il volume non prende posizione nei confronti delle idee politiche di Abbado e dello schieramento politico a cui faceva riferimento (un punto molto trattato, in senso non affatto elogiativo, da Paolo Isotta nel suo recente best seller ‘La Virtù dell’Elefante – La Musica i Libri gli Amici e San Gennaro, Marsilio 2014). E’, invece, un ritratto musicale del musicista, la cui vita viene raccontata non come biografia commentata ma per episodi di cultura musicale non italiana ma europea.

Il libro descrive la parabola dell’avventura terrena di Abbado ‘nell’edificare orchestre, teatri, progetti ed utopie’. Un’avventura che si estende dalla fine della seconda guerra mondiale all’anno scorso e che non può, quindi, non rispecchiare anche il contesto in cui evolva la musica (dalla guerra fredda, al crollo dei muri, allo scontro tra civiltà). A Zignani interessa principalmente ‘il cammino interiore’ in quanto ‘paradigma di una progressiva scissione tra presente e memoria’, tra ‘il principio di piacere ed il senso profondo delle corse’. E’ un percorso che sembra avere una conclusione non lieta: Abbado ‘ultimo umanista’ ‘in lotta contro la globalizzazione delle coscienze’, è pienamente consapevole dello sgretolarsi progressivo della musica come elemento connettivo tra culture, lingue e destini (che caratterizzò i suoi anni giovanili’. Tuttavia, la continua ricerca, la incessante riproposizione di partiture sono indicative non solo di ciò che eravamo ma anche e soprattutto di ciò ‘potremmo tornare ad essere’.

Ho avuto poche occasioni di ascoltare Abbado dal vivo: nel 1976 il Simon Boccanegra di Verdi che, con i complessi della Scala portò a Washington in occasione del bicentenario della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti, un’Elektra con i complessi di Berlino al Teatro Comunale di Firenze alla fine degli Anni Ottanta, un concerto di musica sacra a Jesi nel 2010 per dare avvio alle celebrazioni pergolesiane, ed un concerto, sempre nel 2010, alla Sala Santa Cecilia. Non ebbi la fortuna di ascoltarlo nei suoi anni scaligeri in quanto vivevo nella capitale degli Stati Uniti dove ho passato tre lustri.

Simon ed Elektra mi entusiasmarono. I due concerti del 2010 un po’ meno. Il volume di Zignani mi aiuta a porli nella giusta prospettiva. Per questo, ne suggerisco la lettura.

La copertina integrale del libro:

abbado (1)

Un ricordo di Claudio Abbado

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