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Il governo ha bloccato l’Opas di Fininvest su Rai Way. Era scontato. Ostacolare o favorire Berlusconi è l’alfa e l’omega della politica italiana dal 1994.

Dunque nulla è cambiato, finito il patto del Nazareno, liberi tutti e tutto come prima? I giornali sono pieni di retroscena politici e finanziari. Il Cav. torna agli affari, Fininvest ha obiettivi ambiziosi nell’editoria come la fusione libraria Mondadori-Rizzoli che la sinistra vuole bloccare guidata da Umberto Eco (il più celebre e potente autore Rizzoli) e da Pierluigi Bersani. E’ una escalation che, chissà, arriva fino a Telecom Italia. Ma pochi in realtà si interrogano sulla Rai. Invece questo è il perno di tutto. Tra l’altro, c’è in ballo una riforma organizzativa e di governance che ha suscitato anch’essa reazioni politiche e corporative potenti.

Il problema principale non è cosa vuole fare Fininvest, ma cosa vuol fare Matteo Renzi della Rai. La decisione presa su Rai Way manda un segnale preciso: la Rai è del governo, la proprietà pubblica non si tocca. E’ materia politicamente sensibile, va sottoposta come sempre allo spoil system e chi vince prende tutto. La cosiddetta riforma che lascia al Tesoro la scelta del pilota, cioè dell’amministratore delegato, non cambia la sostanza. Tanto meno la riorganizzazione dei telegiornali che mette paura ai 1.500 giornalisti e ai loro direttori, vice e quant’altro. E’ tutta fuffa, un po’ di cipria e niente più.

La domanda alla quale non si vuole rispondere è se questa Rai ha ancora un senso. E’ servizio pubblico ma fa pubblicità e intasca anche una tassa di dubbia legittimità. Ha 1.700 giornalisti, tuttavia l’effetto sull’informazione non si vede, a cominciare dalla qualità tecnica dei servizi. Paga ogni mese 13 mila dipendenti ma il 60% del prodotto è fatto in outsourcing o da duemila esterni come ricorda Giovanni Minoli sul Sole 24 Ore. Un ircocervo, un essere mitologico con il corpo privato e la testa pubblica, ma che in questi vent’anni s’è trasformato nell’orrenda bestia che si mangia la propria coda.

Anche questa Rai, del resto, è frutto della eterna battaglia pro e contro Berlusconi, è la conseguenza di un duopolio che ha ibernato il mercato e ha fatto comodo a entrambi i contendenti. A spese dei contribuenti e degli ascoltatori.

Il passaggio al digitale è stato deludente, un lanciare avanti la palla nell’impossibilità di sciogliere il nodo più intricato. I nuovi canali dovevano essere tematici e interattivi, invece trasmettono vecchi film sul modello dei canali in chiaro. A rompere il duopolio ha provato Sky, ma la condizione è stata che “lo squalo” Murdoch restasse confinato sul satellite e nella tv a pagamento.

Vogliamo davvero fare come la BBC, allora cominciamo a togliere pubblicità, rifare i programmi e tagliare l’elefantiaca e inefficiente struttura di mamma Rai. Lasciamo al governo sotto il controllo del Parlamento il presidente, ma non l’ad. Vogliamo che stia sul mercato? Allora togliamo il canone, apriamo la proprietà, aumentiamo il capitale, assumiamo manager indipendenti.

Invece, ancora una volta si sceglie di stare in mezzo. Né carne né pesce, un catoblepe. Eppure rottamare la vecchia, consunta e lottizzata Rai non sarebbe la rottamazione per eccellenza?

Stefano Cingolani

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